L’impegno sociale, un’urgenza senza età

IL COMMENTO. Secondo i dati Istat più recenti, nella nostra provincia sono attive 4mila associazioni di volontariato che impegnano oltre 100mila persone, cioè un bergamasco su dieci. Numeri che rappresentano un’attività notoriamente diffusa e capillare impegnata in diversi ambiti. Seppur con un’incidenza minore rispetto alle 900mila persone che dal 2015 a livello nazionale non prestano più il proprio tempo a servizio del prossimo, anche nella nostra terra si registra però la difficoltà del ricambio generazionale.

Solo il 5,9% delle organizzazioni non profit ha volontari con età sotto i 35 anni, mentre prevale la fascia fra i 35 e i 70 anni (86,1%). Un crollo di partecipazione avviene in particolare fra i 25 e i 40 anni: è il periodo della vita nella quale si è impegnati soprattutto a cercare di stabilizzare la propria situazione lavorativa e a costruire una famiglia. Tra i giovani inoltre vigono adesioni al volontariato periodiche, non legate a un impegno fisso ma a singole iniziative o a gruppi informali: una presenza che sfugge alle statistiche.

Se il quadro non può definirsi preoccupante, il problema del ricambio generazionale però è un fatto anche nella Bergamasca. I giovani sono sensibili a un tema urgente come la tutela dell’ambiente ma la nostra società affronta bisogni sociali crescenti in ambiti come la terza età, la disabilità o la fragilità psichiatrica: e qui la presenza di un aiuto giovanile latita. Da almeno 25 anni in Italia si dibatte dell’opportunità di introdurre il Servizio civile universale e obbligatorio, un’esperienza temporanea di solidarietà e di partecipazione che potrebbe poi avere seguito nella libera e personale militanza in iniziative del non profit. Con una legge del 2001, si istituì il servizio civile nazionale, in seguito alla riorganizzazione delle forze armate con l’abolizione della leva obbligatoria, sostituita da quella volontaria o professionistica. Il servizio civile non obbligatorio ha dato buoni risultati in termini di adesioni e di crescita di una sensibilità sociale.

Nel senso comune la parola «volontariato» evoca l’impegno gratuito di chi aiuta persone bisognose. È una definizione corretta ma riduttiva. Il volontariato non è solo solidarietà, ma richiede la capacità di stare dentro a un gruppo con un ruolo preciso, di sviluppare attenzione nel gestire bisogni pratici ma anche psicologici, di mettere in pratica relazioni con persone sconosciute. C’è un effetto non ben percepito nelle dimensioni e nell’importanza: le associazioni del non profit costruiscono infatti anche appartenenza a una comunità, rispondendo a problemi che dovrebbero essere di tutti, non solo di chi li vive, e ricucendo tessuti sociali strappati. In questo senso si tratta di un impegno molto attuale. Oggi paghiamo i conti dell’ubriacatura individualista e di una competizione sfrenata: l’esito è l’insicurezza dei cittadini, la solitudine, il rinchiudersi nel privato. La parola «gratuità» è diventata sospetta e il sospetto verso il prossimo sconosciuto un’altra cifra dei tempi. Il volontariato ribalta questo modo triste di vivere e ricostruisce il senso del bene comune, di una possibilità di risposte ad esigenze che non trovano rimedio altrove.

I giovani forse potrebbero essere intercettati nell’ambito di questa responsabilità: la costruzione di un mondo solidale, che si prende cura non solo di ciò che è appunto privato. Un mondo diverso che li riguarda perché è quello nel quale dovranno sperabilmente crescere, senza consegnarsi al cinismo, alla rassegnazione e alla disillusione che ammorbano l’aria e troppi adulti. I giovani sanno ancora esprimere un bisogno di cambiamento, di novità positive e di ideali. È una domanda che non va dispersa e il volontariato, attività che ha un valore anche politico nel senso più ampio del termine, può essere una delle risposte.

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