L’immigrato ucciso, così muore l’umanità

Il commento La domanda più giusta, tanto ovvia quanto profonda, l’ha posta Charity Oriachi (35 anni) moglie di Alika Ogorchukwu (39), il venditore ambulante nigeriano di accendini e fazzoletti ucciso da un passante venerdì nel primo pomeriggio nel centro di Civitanova Marche: «Perché?».

Perché quella violenza così brutale su un uomo innocuo e senza alcuna responsabilità nel provocare una qualsiasi barbara reazione? Una sera del febbraio 2021, la vittima era stata investita da un ubriaco mentre tornava a casa in bicicletta. Ne aveva riportato una lesione permanente al nervo del polpaccio sinistro e da allora gli serviva una stampella per riuscire a camminare. Quella stampella è stata utilizzata dall’assassino, un italiano di 32 anni con precedenti con la giustizia, per colpire più volte l’immigrato su tutto il corpo. E quando Alika Ogorchukwu, inseguito, è caduto per le bastonate, gli è salito sopra, tenendogli la testa schiacciata per terra per almeno 3-4 minuti. L’autopsia stabilirà l’esatta causa del decesso ma la dinamica dell’aggressione è sufficiente a definire la ferocia del gesto. In un primo momento si era parlato di un complimento della vittima alla compagna dell’omicida (notizia poi smentita) e poi dell’insistenza dell’ambulante per vendere un oggetto al passante (non c’è conferma). Ma nulla può giustificare la scena ripresa dalle telecamere di un negozio e dai telefonini dei passanti che invece di intervenire per fermare la barbara violenza hanno preferito immortalare l’orrore, come se fosse un bel fatto da ricordare e non un’esecuzione di un pover’uomo. Qualcuno ha gridato «fermati, lo ammazzi così», altri hanno chiamato i soccorsi. Serviva ben altro per interrompere l’omicidio in diretta: il coraggio di rischiare per fermarlo.

Questo crimine chiama in causa noi, il nostro modo di guardare al prossimo, all’incapacità di gestire reazioni istintive e di impostare buone relazioni

La vedova chiede giustizia e di non essere lasciata sola dall’Italia. Alika Ogorchukwu aveva un figlio di 8 anni. La famiglia viveva della pensione d’invalidità della vittima (300 euro), che arrotondava facendo l’ambulante, e del piccolo stipendio della moglie, impiegata come donna delle pulizie. Persone per bene. La politica, impegnata nella campagna elettorale, ieri ha rilasciato un profluvio di dichiarazioni che non meritano menzione. Perché questo crimine chiama in causa noi, il nostro modo di guardare al prossimo, all’incapacità di gestire reazioni istintive e di impostare buone relazioni. I social sono solo il termometro di una disumanizzazione in atto, diventati luoghi non di confronto civile, ma di insulto e di affermazione di sè. Ma anche passeggiando per le strade capita spesso di incontrare persone sospettose, facilmente irritabili e aggressive. Le liti tra automobilisti poi non si contano nemmeno più. Ma anche le famiglie possono diventare luogo di scontro, quando non di peggio. Non si è più capaci di gestire un fallimento, di accettarlo. La rabbia sociale motivata dalla grave crisi economica non può giustificare tutto.

Secondo i dati delle forze dell’ordine, in Italia i crimini di matrice razzista e xenofoba sono passati dai 194 segnalati nel 2013 ai 726 registrati nel 2019

Quando poi c’è di mezzo l’immigrato scattano lo stigma e il pregiudizio. Ci sono stranieri vittime di reati (come il caporalato), non solo autori. Secondo i dati delle forze dell’ordine, in Italia i crimini di matrice razzista e xenofoba sono passati dai 194 segnalati nel 2013 ai 726 registrati nel 2019. Nel 2019 lo 0,40% degli stranieri residenti in Italia era in prigione, due anni fa eravamo allo 0,35, nel 2021 allo 0,34, quest’anno allo 0,33. La campagna elettorale verrà giocata anche sul tema degli sbarchi e dell’immigrazione ma l’omicidio di Alika Ogorchukwu ribalta su di noi la domanda: «Perché?». Ci sono state generazioni di italiani che hanno vissuto periodi più difficili del nostro ma non hanno perso la loro umanità: avevano ideali e insieme seppero ricostruire un intero Paese devastato dalla Seconda guerra mondiale. L’«io ipertrofico» è invece una malattia di questi tempi che può sfociare, per affermarsi, nella violenza più brutale. Basta un niente. Mentre gli altri restano a guardare, perché anche la morte è diventata uno spettacolo. Proviamo a rispondere a quel perché. La violenza verbale e fisica crescente ci sta facendo deragliare. Scriveva Sant’Agostino: «Insegnami la dolcezza ispirandomi la carità, insegnami la disciplina dandomi la pazienza e insegnami la scienza illuminandomi la mente».

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