L’Europa e i migranti: meno parole, più azioni

Sono anni che in sede europea si discute di nuove politiche di gestione delle migrazioni, senza che siano stati introdotti cambiamenti sostanziali. Ma l’Ue è ciò che gli Stati membri le permettono di essere e i 27 Stati dell’Unione sono cauti sulla materia perché particolarmente sensibile rispetto alle opinioni pubbliche. Da giorni nel Mediterraneo ci sono tre navi di organizzazioni non governative (ong) che hanno tratto in salvo dal rischio naufragio un migliaio di persone, tra le quali oltre 200 minori, in condizioni di salute precarie, dopo viaggi che durano mesi quando non anni per raggiungere i porti di partenza libici attraversando il deserto del Sahara e dopo giorni trascorsi in mare.

Il governo non concede lo sbarco sostenendo che deve avvenire nei Paesi di bandiera delle navi. Il ministro degli Interni Matteo Piantedosi come primo atto dopo l’insediamento ha fermato due imbarcazioni delle ong, impugnando una circolare basata su una sentenza della Corte di Strasburgo che avrebbe chiesto di far sbarcare i migranti negli Stati di bandiera delle navi. La responsabilità del Paese di bandiera di cui parla il ministro non riguarda però il trasbordo nel primo porto sicuro, ma il respingimento. L’Italia non poteva rinviare forzatamente le persone in Stati dove avrebbero potuto essere a rischio di persecuzione o di subire un danno grave. Come la Libia. Il sito di un quotidiano nazionale ha pubblicato un video agghiacciante. Riprende un giovane etiope mentre viene torturato in un lager libico. Il filmato è stato inviato ai familiari della vittima chiedendo 10mila dollari per liberarla.

È una vicenda straziante ma non aggiunge niente a ciò che già si dovrebbe sapere. Un rapporto dell’Onu tre anni fa denunciava i crimini commessi in quei luoghi di detenzione. Un caso riguardava una donna nigeriana stuprata davanti ai figlioletti. Le Nazioni Unite, forti di quel dossier, chiedevano al governo di Tripoli di smantellare gli edifici dell’orrore. Ma nulla è cambiato. Nonostante ciò, l’Italia in 5 anni ha versato 800 milioni di euro alla Libia per fermare le partenze dei migranti, senza nemmeno vincolare il finanziamento alla chiusura dei lager. Un obiettivo dei fondi è il potenziamento della Guardia costiera libica. Ma inchieste giornalistiche hanno certificato come sia infiltrata da trafficanti di migranti e mafie. La Guardia ad esempio dovrebbe distruggere i barconi respinti in Libia. Foto satellitari dimostrano invece come un barcone respinto abbia poi compiuto più viaggi verso l’Italia.

La Libia è di nuovo nel caos, con due governi contrapposti (uno illegale) e i trafficanti hanno stabilito una nuova base di partenza dei migranti in Tunisia. Ma il governo prende di mira le imbarcazioni delle ong. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, evidenziando un pregiudizio, le ha definite «navi pirata». Quelle navi però sono «responsabili» solo del 16% dei salvataggi nel Mediterraneo. Da quando si è insediato il nuovo esecutivo, sono sbarcati sulle nostre coste oltre 9mila migranti, solo 985 da imbarcazioni delle organizzazioni non governative. Germania e Francia restano i Paesi europei con più richieste d’asilo. L’Italia accoglie un quarto delle persone rispetto allo Stato tedesco. Proprio la Francia ieri ha dato disponibilità ad ospitare una parte degli immigrati fermi in mare, mentre dalla Norvegia, Paese di bandiera di una delle navi delle ong bloccate, è arrivato un no, a proposito di Unione europea...

Le risposte al fenomeno migratorio le conosciamo: per fermare quello irregolare servono decreti flussi più ampi (li chiedono le imprese alla ricerca di manodopera, non i «buonisti»), canali umanitari per chi scappa da guerre e persecuzioni e un’economia globale più equa che favorisca lo sviluppo dei Paesi poveri. Ma bisognerebbe applicarle.

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