L’Europa ancora sull’orlo dell’abisso

Esteri. A quasi un anno dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina ieri è stato un giorno delicato e intensissimo per le sorti del conflitto. Il giorno di Giorgia Meloni a Kiev. Il giorno del capo della diplomazia cinese Wang Yi, giunto a Mosca per proporre un piano di pace.

E infine il giorno di Joe Biden che ha fatto un discorso molto importante a Varsavia, dopo l’incontro a sorpresa con Zelensky. Un giorno importante, ma in quale direzione? L’impressione è che ci si trovi sull’orlo di un cratere, o meglio di un bivio insidioso e angosciante. Da una parte la fine del conflitto, con la proposta di Pechino, grande alleato del Cremlino pronto a sparigliare nel grande gioco globale delle superpotenze. Incontrando a Mosca il segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, Nikolai Patrushev, Wang Yi ha riaffermato le relazioni sino-russe, «solide come una roccia». Secondo una rivelazione del Wall Street Journal» anche il presidente cinese Xi Jinping starebbe preparando una visita a Mosca nei prossimi mesi, con l’intento di esercitare la propria influenza per mettere fine al conflitto in Ucraina e di convincere Putin a non usare armi nucleari. Perché è questo il vero incubo che incombe sull’Europa a un anno dall’inizio del conflitto.

In che cosa consiste la proposta di pace? Si tratta di qualcosa di stabile? Prevede una cessione (inevitabile) di territorio ucraino per soddisfare Putin, o quanto meno permettergli di uscire a testa alta da una guerra che ha provocato la morte di centomila giovani russi? O si tratta solo di un cessate il fuoco utile a raccogliere le forze per poi provocare l’ennesima ondata di guerra?

Nel frattempo l’Occidente serra le fila e riconferma il suo appoggio a Zelensky, come ha fatto la nostra premier nel suo colloquio con il presidente ucraino. Ma è il discorso di Biden quello più fermo e contemporaneamente inquietante. Il presidente degli Stati Uniti ha sottolineato la compattezza della Nato, forse sottovalutata dall’autocrate russo nell’invadere l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, quando il mondo stava faticosamente uscendo dalla pandemia e sembrava preso da tutt’altri pensieri. L’inquilino democratico della Casa Bianca ha ricordato «la volontà di ferro dell’America» e si è detto pronto a difendere ogni centimetro di territorio Nato: «L’articolo 5 del trattato Nato è solido come una roccia, un giuramento sacro, un attacco contro uno è un attacco contro tutti».

Pare di assistere a una doppia strategia da parte di Biden. Pur non esitando a denunciare pubblicamente i crimini di guerra russi – come lo stupro di donne e il rapimento di bambini, deportati a migliaia - ha cercato da un lato di lanciare segnali di distensione verso il Cremlino, dicendosi addirittura disponibile a una visita a Mosca «in nome della stabilità nucleare» e assicurando che «gli Stati Uniti non cercano di distruggere la Russia». Ma in linea con tutti i suoi predecessori ha contestualizzato la politica estera americana nella prospettiva della «dottrina Monroe», ovvero la possibilità di intervenire nel mondo ovunque la democrazia sia in pericolo.

Tutto questo potrebbe portare a un’escalation del conflitto, a una sfida ormai evidente e conclamata tra ex impero sovietico e Occidente guidato da Washington e a questo punto a un salto di qualità nell’uso delle armi. Non è un caso che Zelensky, nel commentare il suo dialogo con Biden, abbia detto di aver parlato anche di armi a lungo raggio.

Alla dottrina Monroe Mosca risponde con una pretesa ondata di patriottismo russo, come ha fatto Putin, attingendo alla retorica nazionalista. Anche il segretario del Consiglio di sicurezza russo ha accusato l’Occidente «di agire contro la Russia e la Cina e contro i Paesi in via di sviluppo».

Siamo davvero sul crinale di un vulcano, col rischio di una guerra nucleare. Ora il gioco è in mano alle cancellerie, finora estremamente deboli nel loro tentativo di fermare questo assurdo e sanguinosissimo conflitto. Poi la parola potrebbe passare nuovamente ad armamenti sempre più sofisticati e mortali. Lo sperano solo i produttori di armi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA