
(Foto di Ansa)
MONDO. Nel silenzio imbarazzato di un’Europa che esita, prigioniera delle proprie paure e dei propri calcoli politici, Emmanuel Macron appare come l’ultimo leader in grado di proporre una visione.
Il discorso di mercoledì sera dall’Eliseo non è soltanto un’analisi lucida della realtà, ma un grido d’allarme che nessun altro, nei salotti ovattati di Bruxelles o nelle cancellerie del Vecchio continente, ha avuto il coraggio di lanciare così brutalmente. Dopo il terremoto geopolitico e il salto quantico imposto da Donald Trump - che con una brutalità tutta americana ha posto fine alle illusioni post Guerra fredda e ci ha scaraventati in una nuova era - l’Europa si ritrova di fronte a un bivio esistenziale. Le minacce si moltiplicano, gli equilibri internazionali si sgretolano, eppure l’Unione si muove con la lentezza di chi ancora non ha deciso se reagire o soccombere.
Finora, la strategia europea si è limitata a fornire armi e assistenza finanziaria a Kyiv, rifugiandosi dietro la comoda illusione che bastasse a contenere l’aggressione di Putin. Ora, Macron impone una riflessione più radicale
La Francia, da sola, cerca di scuotere l’immobilismo. E Macron non usa giri di parole: la Russia non si fermerà all’Ucraina. Non è il linguaggio paludato dei comunicati ufficiali, ma quello di un uomo che sostiene che Mosca è tornata a essere una minaccia esistenziale per l’Europa. L’idea di dispiegare truppe europee in Ucraina - sebbene espressa con un cauto «forse» - rompe un tabù. Finora, la strategia europea si è limitata a fornire armi e assistenza finanziaria a Kyiv, rifugiandosi dietro la comoda illusione che bastasse a contenere l’aggressione di Putin. Ora, Macron impone una riflessione più radicale: l’Europa è pronta a difendersi con le proprie forze o preferisce assistere passivamente alla propria disgregazione?
Eppure, la sua dichiarazione, la sua «chiamata alle armi» lascia più di un dubbio. Un conto è dispiegare forze sul confine ucraino per creare una zona cuscinetto sotto l’egida dell’Onu, un altro è lanciarsi in un’avventura militare diretta contro la terza potenza nucleare mondiale. L’azzardo è evidente, le conseguenze potenzialmente catastrofiche. La risposta di Putin, al momento, è stata un misto di scherno e minaccia: ha paragonato Macron a Napoleone, ricordando a tutti la fine ingloriosa della Grande Armée nella neve russa. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov tira in ballo addirittura la seconda invasione, quella dell’operazione Barbarossa di Hitler, paragonando il presidente francese al dittatore tedesco. Un’ironia velenosa, che però nasconde una verità scomoda: le guerre si iniziano con entusiasmo, ma finiscono spesso con rovine e ritirate disastrose.
C’è poi un’altra questione che non può essere ignorata: «Macroleon» parla a nome della Francia, ma i francesi lo seguono davvero? Il suo percorso al potere è stato segnato da un sistema elettorale che gli ha permesso di governare con il sostegno di meno di un quarto degli elettori. E l’altro 75%? È disposto a seguirlo in questa scommessa geopolitica che rischia di mandare sul fronte uomini e donne a rischiare la pelle o finirà per voltargli le spalle alle prossime elezioni?
La vera proposta dirompente è però un’altra, forse quella che infastidisce di più il Cremlino: estendere lo scudo nucleare francese agli alleati europei. Se ne discute sottovoce da anni, nei circoli più riservati della politica internazionale, ma nessun leader ha mai avuto il coraggio di dirlo apertamente. Macron, invece, lo fa. Il messaggio è chiaro: l’Europa non può più affidare la propria deterrenza esclusivamente all’ombrello atomico americano. La domanda, però, è se la Francia possa davvero farsi carico di una simile responsabilità. Il deterrente nucleare è una questione di potenza, ma anche di volontà politica. Parigi è disposta a usare la sua forza atomica, a cedere il suo know how nucleare per difendere Berlino o Varsavia? E queste ultime si fidano abbastanza da delegare la propria sicurezza alla Francia? La posta in gioco è enorme. Il mondo in cui l’Europa ha vissuto negli ultimi settant’anni sta evaporando. Gli Stati Uniti potrebbero ridimensionare drasticamente il loro ruolo nella Nato. Se Washington si sfila, chi proteggerà il Vecchio continente? Berlino è paralizzata dai suoi complessi storici, Roma si barcamena tra ambiguità e assenza di strategia, Madrid non ha il peso necessario. Resta solo Parigi, l’unica capitale europea che sembra avere una visione strategica di lungo termine. Macron ha lanciato il sasso nello stagno. Ora resta da vedere se l’Europa avrà il coraggio di affrontare le onde che ne seguiranno.
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