L’esempio italiano
nel caos tedesco

In piena quarta ondata Covid-19, le attività industriali italiane sono ai primi posti in Europa. Solo un anno e mezzo fa, nel bimestre marzo e aprile del 2020, il tracollo fu di oltre 40 punti percentuali. La manifattura italiana ha recuperato. L’export ad agosto 2021 registra in valore un +2,8% rispetto a febbraio 2020, mentre il fatturato interno segna un +7%. Solo per il distretto delle ceramiche le ordinazioni arrivano al 2024. Nel settore pelletteria il fatturato è passato da 23 miliardi del 2019 ai 29 miliardi di euro di un 2021 non ancora terminato.

Il Centro Studi di Confindustria annuncia il ritorno dell’Italia al protagonismo industriale. Forse non è ancora così. Ma allo stato attuale la Germania soffre un ritardo del 10% rispetto al periodo pre Covid-19 e la Francia è a quota 5%. Il paradosso è che la pandemia ha fatto bene al sistema italiano.

Come sempre nella storia gli italiani sono maestri nel gestire le emergenze e traggono dai momenti di dramma la forza per affrontare le difficoltà. È a quel punto che la capacità produttiva unita alla flessibilità e all’ingegno inventivo fanno la differenza. Il governo Draghi ha fatto la sua parte. Solo lo stato di calamità nel quale l’epidemia aveva gettato il Paese ha reso possibile l’avvento al governo di una personalità in grado di acquisire il rispetto di tutte le controparti, nazionali e internazionali. Ed è un momento decisivo per un Paese che ha il suo male profondo nell’instabilità politica.

Il mondo produttivo italiano è tornato al centro delle strategie di sviluppo del Paese. Ed è una piccola rivoluzione se guardiamo al recente passato dove prima la rendita di posizione e poi l’assistenzialismo hanno segnato l’agenda politica. L’Italia in crisi identitaria sta riscoprendo il gusto di essere artefice del suo destino. E questo avviene in un momento nel quale per la prima volta nella storia mondiale le materie prime richieste allo sviluppo non sono più fossili. Il punto debole della storia industriale del Paese è sempre stato la dipendenza estera per l’energia e i materiali necessari alla produzione. Il carbone e il petrolio rimangono ancora strategici ma a breve e medio termine. Il futuro è fatto di sole, vento, acqua, tutti beni dei quali l’Italia abbonda. Per trasformare tre fattori primordiali in energia occorre però disporre delle tecnologie. L’innovazione e la ricerca sono dunque decisivi, ma vanno coniugati con un’attività produttiva in grado di generare utili. Nel momento del bisogno occorre tenere in vita le imprese. I prestiti alle aziende garantiti dallo Stato hanno evitato molte chiusure e permesso il mantenimento dell’occupazione. E questo spiega anche la ripartenza veloce.

Il dato che emerge da questi nove mesi di governo Draghi è che la crescita economica è fatta di lotta pandemica. La scorsa settimana il telegiornale tedesco della prima rete ARD delle 20 ha fornito un unico nella storia televisiva degli ultimi venti anni in Germania: ha portato l’Italia come esempio. Un servizio da Milano finalmente oggettivo e non venato dal pregiudizio, dove per la prima volta il Paese dei mandolini è diventato quello che è, ovvero la seconda manifattura d’Europa. Ed è la politica sanitaria che fa la differenza. Il caos che regna in Germania, dove il nuovo governo semaforo in piena pandemia, con punte di 70mila nuove infezioni al giorno, abolisce lo stato di emergenza e delega ai singoli Länder la gestione del Covid-19 spiega da solo perché l’economia arranca. Nelle tempeste il timone deve restare in mani salde. Contenere la pandemia vuol dire far crescere l’attività economica. Che non lo capiscano in Germania è grave ma per l’Italia sarebbe imperdonabile.

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