L'Editoriale
Venerdì 06 Dicembre 2019
L’enigma manovra
Di Maio, è lite
La maggioranza non smette di vivere giornate di passione. Dopo le polemiche sul Meccanismo europeo di sicurezza e la riforma della prescrizione, è la manovra economica che nelle ultime ore sta facendo ballare il tavolo della maggioranza. Ieri sera infatti nel vertice convocato da Conte per rimettere in riga le posizioni dei partiti, c’è stato un nulla di fatto sulle tasse di scopo di cui Italia Viva chiede l’abolizione totale mentre finora ci si era assestati su un minor prelievo e sull’esenzione della plastica riciclata.
Per le auto aziendali ormai si è invece arrivati ad una sorta di archiviazione della norma dal momento che si prevede un gettito zero. Intanto il tempo stringe per presentare in aula un testo condiviso: sicuramente sarà un maxi-emendamento con dentro le modifiche e su cui verrà posta la questione di fiducia. Ma l’importante è ora trovare un accordo su quelle modifiche, ed è la ragione per cui il premier si è rivolto al ministero del Tesoro e ai tecnici della Ragioneria generale perché trovino loro una soluzione possibilmente indolore.
Che tale non sarà, naturalmente, perché se il gettito della plastic tax e delle altre gabelle viene a mancare, da qualche altra parte dovrà pur arrivare all’Erario dal momento che i «grandi numeri» della manovra concordati con Bruxelles, come ripete continuamente il ministro Gualtieri, non possono essere modificati.
Gli altri fronti di scontro interno alla maggioranza per il momento sembrano calmarsi. Quanto al Mes l’Eurogruppo riunitosi negli ultimi due giorni a Bruxelles si è concluso con la decisione di un rinvio dell’approvazione del Trattato: si tratta di un paio di mesi, non di più, ma senza che questo significhi la promessa di una modifica del testo. Tuttavia a Gualtieri e a Conte questo basta per abbassare la tensione tra i partiti le cui posizioni restano distanti: il Pd vuole accettare l’accordo così come è stato formulato, i grillini continuano ad insistere per delle modifiche che consentano di sbandierare una vittoria in Europa.
Terzo capitolo, la riforma della prescrizione. Si è arrivati ad un millimetro da una rottura irreparabile, poi sono entrati in azione i pacificatori e ora sembra che si sia ricominciato a discutere. Il Pd era pronto a presentare in aula un proprio testo alternativo a quello del governo, e questo sarebbe stato sicuramente il segno di una frattura politica difficilmente sanabile. Nello stesso tempo Di Maio aveva ripetuto ossessivamente che sulla giustizia non si discute, che «le carte le dà il M5S», che «il Pd deve guardare all’interesse dei cittadini». Tutte espressioni che hanno avuto il solo effetto di esasperare il nervosismo in casa democratica dove aumenta ogni giorno il numero di chi dice a Zingaretti che non si possono accettare tutti i ricatti e i diktat dei grillini. Il segretario del Pd ha preso atto dell’umore nel suo partito e ha scritto ad un giornale per dire che i dem vogliono andare avanti ma non ad ogni costo, e che non sono certo loro a dover temere le elezioni anticipate. Tradotto: caro Di Maio, stai attento perché se tiri troppo la corda si va alle urne e tu tornerai a Montecitorio con un terzo dei parlamentari. In realtà, nessuno ha veramente capito quale sia il gioco del «capo politico», sempre più precario del M5S. Un giorno sembra che voglia rompere e mandare a casa Conte, il giorno dopo invece fa un passo indietro e rilascia dichiarazioni di pace. È soprattutto il rinnovato rapporto con Alessandro Di Battista che inquieta Zingaretti: non passa giorno senza che il battitore libero pentastellato non spari a palle infuocate contro la politica del governo, come se fosse un oppositore. E la continua guerriglia di logoramento sembra fatta d’accordo con Di Maio. Sarà anche per questa ragione che l’agenzia di rating Fitch ha lanciato l’allarme sulla possibile instabilità dell’Italia.
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