L'Editoriale / Valle Brembana
Venerdì 29 Novembre 2024
L’emergenza profughi e le risposte che mancano
MONDO. La piccola Moldavia, 2 milioni e mezzo di abitanti, uno dei Paesi più poveri dell’Europa, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina si trovò invasa da migliaia di famiglie in fuga dal conflitto.
Si calcola che almeno un milione di persone abbia attraversato le frontiere del Paese. Di queste, a due anni e mezzo dall’inizio della guerra, circa centomila si sono fermate, facendo della Moldavia il Paese europeo con il più alto tasso di rifugiati in rapporto alla popolazione (il 4 per cento, in Italia nel 2023 erano circa il 7 per mille). Non solo: il 90 per cento dei profughi, nei primi mesi di permanenza in Moldavia, sono stati ospitati in famiglie o in piccoli appartamenti, solo una minoranza è finita nei centri di accoglienza messi a disposizione dal governo. Ma la Moldavia è solo un piccolissimo puzzle di un’emergenza mondiale: come si legge nell’ultimo rapporto Global Trends dell’Unhcr pubblicato prima dell’estate, la popolazione in fuga nel mondo è di 120 milioni di persone, quasi come l’intero Giappone. Iran (3,8 milioni), Turchia (3,3 milioni), Colombia (2,9 milioni), Germania (2,6 milioni) e Pakistan (2 milioni) ospitano le popolazioni di rifugiati più numerose. E in Italia? Le persone titolari di protezione internazionale alla fine del 2023 erano circa 138.000, i richiedenti asilo 147.000 e oltre 161.000 i cittadini ucraini titolari di protezione temporanea, mentre si stima siano circa 3.000 le persone apolidi. Tutti insieme, non si arriva alle 450mila persone.
E in Italia? Le persone titolari di protezione internazionale alla fine del 2023 erano circa 138.000, i richiedenti asilo 147.000 e oltre 161.000 i cittadini ucraini titolari di protezione temporanea, mentre si stima siano circa 3.000 le persone apolidi. Tutti insieme, non si arriva alle 450mila persone.
Dei 138mila richiedenti asilo in Italia, circa 900 sono ospiti nella Bergamasca, nell’ambito di un sistema di distribuzione che coinvolge tutte le regioni italiane. Si tratta dello 0,08 per cento dei residenti. Se prendiamo a riferimento il numero dei comuni, che sono 243, si tratta di 3 o 4 persone per ogni comune. Niente di troppo impattante, insomma.
L’appello ai Comuni per l’accoglienza
Eppure, quello che poteva sembrare semplice, è diventato parecchio complicato, nella Bergamasca come nel resto d’Italia. Su 243 comuni bergamaschi sono solo 17 quelli che attualmente si trovano ad ospitare i 900 richiedenti asilo. In qualche caso si tratta di piccole, o piccolissime realtà, come Valbondione, Gromo, Taleggio, Rota d’Imagna. In qualche altro caso sono città, come Romano, dove però la concentrazione è tale da creare problemi di convivenza.
Un plauso quindi alla prefettura che ha aperto un tavolo di confronto su questo problema, dando voce anche ai Comuni accoglienti e facendoli sentire meno soli
Il problema,ancora una volta, è squisitamente politico. Attualmente le forme di accoglienza dei richiedenti asilo sono di due tipi: i Cas, centri di accoglienza straordinaria (gruppi più o meno numerosi ospitati in ex caserme, ex scuole, ex colonie...), e i Sai (Sistema accoglienza e integrazione), la cosiddetta accoglienza diffusa, che garantisce proprio quello che chiedono i sindaci dei paesi in prima linea: distribuire su più comuni l’onere. Con tante piccole accoglienze di tipo familiare, modello Moldavia insomma. Il Sai però funziona solo con l’adesione volontaria degli enti locali e oltretutto risulta logicamente più costoso (e quindi meno appetibile nei bandi pubblici) rispetto a un’accoglienza di massa. E questo ha fatto sì che l’accoglienza diffusa sia diventata ormai una quota residuale rispetto ai Cas, che di straordinario, purtroppo, non hanno più niente.
Un plauso quindi alla prefettura che ha aperto un tavolo di confronto su questo problema, dando voce anche ai Comuni accoglienti e facendoli sentire meno soli. Ma fino a quando non si troverà il modo di integrare il sistema dell’accoglienza con quello dei servizi sociali dei territori, anche numeri tutto sommato più che gestibili,come quello dei 900 richiedenti asilo in una provincia di 1,1 milioni di abitanti, saranno sempre oggetto di politiche di emergenza. In cui il diritto d’asilo è la prima vittima sacrificale.
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