L'Editoriale
Giovedì 04 Novembre 2021
Legge di bilancio
e mezzi rinvii
Della previsione di Bilancio licenziata giovedì dal governo si possono fare due letture, una politico-mediatica e l’altra economico-finanziaria. Sulla prima c’è da registrare un successo, segnato da almeno due punti: la dimensione dell’intervento, salito a 30 miliardi, e l’unanimità nell’approvazione. Sotto il profilo tecnico non mancano però le ombre ed è utile segnalarle, perché gli sviluppi delle cose non saranno tutti rosei. La manovra è certamente espansiva, ma attenzione, perché dei 30 miliardi, 23 sono di fatto a debito, oppure di utilizzo delle sopravvenienze attive prodotte dalla buona ripresa in corso, superiore alle previsioni, anzi portata fino al 6,4. C’è poco sul fronte del taglio della spesa, che nelle finanziarie è sempre la cartina al tornasole, e c’è un cedimento al rinvio che contraddice il tratto decisionista.
Se volessimo metterla in positivo, è chiaro l’intento di Draghi di chiudere la spensierata pagina gialloverde del reddito di cittadinanza e Quota 100 tutti a debito. Vengono entrambi riveduti e corretti e tendenzialmente devitalizzati, ma Quota 102 è un rinvio di un anno e il reddito, con qualche nuova condizione resa necessaria dagli abusi, viene rifinanziato a breve. Tutto comprensibile, finché in Parlamento la metà della fiducia è affidata ai colori gialloverdi, ma tutto questo con il Pnrr ha poco a che fare.
Altri tre punti in chiaroscuro sono molto importanti: fisco, mercato del lavoro e concorrenza. Quest’ultima è oggetto dell’ennesimo rinvio, mentre secondo il cronogramma del Pnrr doveva risolversi il 30 luglio. Lì dentro ci sono l’Italia corporativa che blocca da vent’anni la direttiva europea e la questione delle aziende controllate dagli Enti locali. Sul fisco, c’è un taglio notevole, ma non sono indicati i criteri di ripartizione. Il tema si sovrappone a quello del mercato del lavoro: tagli del cuneo fiscale e dell’Irpef, o finanziamento degli ammortizzatori? Questi ultimi entrano nello sterminato mondo della piccola impresa ed è un bene, ma la ripartizione Regioni/Stato è per ora insoddisfacente, e le risorse di cui si parla non sufficienti.
Concludendo: la vera legge di Bilancio non sarà dunque questa dei mezzi rinvii, ma l’emendamento che costringerà alla fiducia finale. Ne parliamo a Natale.
Registriamo per ora che è sotto controllo una forma sotterranea di resistenza passiva che è la vera insidia, ma c’è un rallentamento.
Da mesi va avanti il silente braccio di ferro tra un marziano, Mario Draghi, messo a capo – per forza maggiore – di una coalizione molto terrestre, divisa e sospettosa, che ha pur sempre in mano il rubinetto dell’ossigeno del Governo, con una voglia inespressa, anzi compressa, di disfarsi del marziano in due modi: o promuovendolo al Colle o umiliandolo nel segreto dell’urna. Purché, insomma, prima o poi si tolga di torno.
Draghi se l’è cavata fin qui da politico puro, bastone e carota con i suoi sostenitori-avversari. Le tigri sono spesso diventate gattini, ma si è perso molto tempo che sarebbe stato meglio dedicare ai 52 adempimenti che il Pnrr esige siano definiti entro dicembre. Fortuna vuole che sarebbe sommerso di fischi chi osasse interrompere un ciclo fatto di vaccinazioni sopra l’86%, e di ripresa economica che si comincia a sperare che superi la caduta dell’anno orribile 2020. E per fortuna c’è il terrore delle elezioni, che, come si è visto tre settimane fa, spazzerebbe via un partito oggi maggioritario e un bel po’ di tenori da operetta che si esibiscono ogni sera in tv.
In Europa, di Draghi si fidano e, per ora, con la Germania senza governo e la Francia sotto elezioni, non si levano critiche, ma non tutti gli occhi sono chiusi: l’Alitalia/Ita è sul filo di un processo per aiuti di stato; il Monte dei Paschi non si privatizza più e si deve rendere conto dei (troppi) miliardi versati dallo Stato.
Decisivo sarà questo trimestre (poi arriva la scadenza Quirinale). La speranza è che cessi la concorrenza tra partiti e tra partiti e sindacati per controllare la solita Italia dei diritti senza doveri, che pensa che lo Stato possa solo dare. Quella che parla tanto dei giovani e poi li riempie di debiti.
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