Le vie piene a Napoli
Istituzioni fuori luogo

Ma dov’era l’altra sera Vincenzo De Luca con il suo lanciafiamme mentre migliaia di tifosi napoletani manifestavano in strada abbracciandosi e baciandosi dopo la vittoria di Gattuso e dei suoi azzurri in Coppa Italia contro la Juventus, cantando a squarciagola «o surdato nammurato» fino all’alba? Presidente della Regione Campania non pervenuto. Il sindaco De Magistris invece era presente, pure troppo. E infatti ha detto che si è trattato di un «contagio di felicità», lanciandosi in terrificanti doppi sensi epidemiologici. Eppure i dati registravano ancora pazienti campani in terapia intensiva, per non parlare di quelli nel resto del Paese. Contagio di felicità? Perché non lo dice ai parenti delle vittime del Covid-19?

O alla gente che per mesi ha rispettato le regole disertando chiese, cinema, teatri, amici, parenti, passeggiate in un parco, persino i funerali dei propri cari, boccheggiando con la mascherina, magari chiudendosi in un monolocale o in un bilocale per mesi? Non era un secolo fa, era ieri. E la tragedia è ancora in corso, «a nuttata» - come in Napoli milionaria - non è ancora passata, almeno finchè non ci sarà l’ultima vittima del Covid. Un po’ di sobrietà è richiesta anche al «Paese du Sole», così come il resto dell’Italia gliela tributò rispettosamente nei giorni nefasti del colera. E invece il sindaco di Napoli parla a sproposito di «contagio della felicità», come se questa faccenda del Covid fosse come la canzone di Totò, come se dovessimo scordarci il passato perché ormai «chi ha avuto ha avuto. Chi ha dato ha dato».

L’altra sera, in mezzo a quella folla esultante per una partita di calcio (un calcio surreale, da teatro dell’assurdo, verrebbe da dire, ma questo è un altro discorso) non s’è visto nessuno per le strade di Napoli rispettare i distanziamenti e le altre misure di sicurezza. Una vergogna tale da avere addirittura allarmato l’Organizzazione mondiale della sanità. Il direttore aggiunto dell’Organizzazione Ranieri Guerra ha definito i tifosi degli «sciagurati». Ne bastava uno, uno solo positivo, per dare fuoco alle polveri, alimentare il contagio e far ripartire tutto da capo. Lo scopriremo tra una decina di giorni. Guerra ha giustamente ricordato il nefasto effetto della partita dell’Atalanta a San Siro contro il Valencia del 19 febbraio. Con la differenza che a Milano la bomba biologica scoppiò quando non si sapeva ancora che il contagio era tra noi, perché eravamo all’inizio dell’epidemia, mentre a Napoli, l’altra sera, si sapeva tutto.

Oltretutto i tifosi rischiano di rendere vane le rigide misure messe in campo proprio dallo stesso De Luca in tutta la regione, con esiti buoni peraltro, tali da avergli fatto dire con un filo di sottile protervia che «talvolta anche i campani possono dare lezioni alle regioni del Nord». E ora governatore De Luca? Chi è salito sulla cattedra dell’irresponsabilità?

«Siamo forti anche al tempo del virus», ha twittato de Magistris. Una della dichiarazioni più fuori luogo che si siano mai sentite negli ultimi 50 anni. Ma tutto questo forse ci porta a riflettere sulla potenza delle tifoserie calcistiche e sulla loro impressionante capacità in termini di serbatoio di consenso elettorale. I tifosi partenopei, con i loro addentellati e le loro ramificazioni che si perdono e si allargano come l’acqua nei vicoli del capoluogo partenopeo, sono evidentemente una fabbrica del consenso talmente potente da far eclissare un presidente di Regione (la sua replica a Salvini era forse materiale per Crozza ma non ha spostato i termini della questione) e far «cinguettare» un sindaco. «Panem et calcenses», come ai tempi di Tiberio. Tra l’altro l’augusto Luigi De Magistris è un ex magistrato - figlio, nipote e pronipote di magistrati - e dunque il rispetto delle regole – a cominciare da quelle di salute pubblica - dovrebbe sentirlo come una doppia (o forse triplice) missione. Sono giorni difficili per la nostra democrazia.

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