Le spine del governo alla prova dell’Europa

Italia. Oggi al Senato e domani alla Camera Giorgia Meloni riferirà ai parlamentari sulla posizione del governo in vista del Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. I temi economici - crisi bancarie, rialzo dei tassi Bce, Patto di stabilità - saranno il piatto forte del vertice ma, sotto il profilo politico interno, a dominare l’attenzione saranno la questione migranti dopo la tragedia di Cutro e, ancora una volta, le armi a Kiev.

La presidente del Consiglio in aula ribadirà la linea su cui il governo si è assestato: primo, che l’Europa deve fare di più per aiutarci nel contrastare l’immigrazione illegale; secondo, che le armi all’Ucraina vanno date ad oltranza.

Sul primo punto, l’Italia ha ottenuto che la lettera che di norma la Commissione invia ai premier alla vigilia del Consiglio contenga la raccomandazione «di un ampio spazio alle priorità dell’esecutivo di Roma» ma il rischio è che non si riesca ad andare oltre gli annunci e le frasi retoriche dei documenti (come è successo nell’ultimo vertice): anche nel colloquio avuto ieri con il Cancelliere Scholz, Meloni ha continuato ad insistere sulla riforma dei ricollocamenti degli arrivi (obiettivo lontano) e sugli investimenti a favore dei paesi del Nord Africa, specialmente la Tunisia ormai sull’orlo di una crisi irreversibile che può provocare una nuova ondata (e anche questo obiettivo finora ha poche chances di essere raggiunto). Il fatto che sull’altra sponda del Mediterraneo siano in attesa di imbarcarsi su qualche carretta del mare quasi 700mila profughi non è ancora un argomento veramente pressante. Ma Meloni non può presentarsi alla opinione pubblica italiana, soprattutto dopo la controversa condotta istituzionale nel naufragio calabrese, senza un qualche risultato.

Secondo aspetto, le armi. Le armi non si discutono dice a chiare lettere la premier, fermissima nella sua linea atlantista senza riserve. Non si discutono se non altro perché a Bruxelles si tratta di come e di quanto, e Roma non può fare la parte del partner ambiguo. Ma in Parlamento l’ala del centrodestra meno favorevole a Zelensky è ancora forte anche se sembra che abbia deciso di rimanere al coperto dopo le ultime clamorose uscite di Berlusconi che hanno messo in imbarazzo sia Meloni che Tajani. Salvini sull’argomento tace da tanto tempo e si capisce che vuole smarcarsi e parlar d’altro (ponte sullo Stretto, immigrati, famiglie omogenitoriali, ecc.). Quanto al Cavaliere, benché non abbia certo cambiato idea sul suo amico Putin e sul «signor Zelensky», sta facendo fare al suo partito una torsione a favore di Meloni che in questo momento non consente di alzare criticamente la voce sull’Ucraina.

Sarà interessante invece osservare cosa succederà nel centrosinistra. Sulle armi la Schlein gioca con le parole e prende tempo. Nella mozione del Pd di armi non si parlerà ma solo di «diritto all’autodifesa dell’Ucraina»: ai tempi di Letta non sarebbe successo. Però così la neo-segretaria si tiene buoni sia i pacifisti come lei che i moderati che avrebbero preferito Bonaccini al suo posto. Un testo ambiguo del Pd dà al M5S un vantaggio tattico: Conte - che soffre la concorrenza a sinistra della Schlein - almeno sulla guerra ha mano libera e buon gioco, non ha bisogno di stare in equilibrio sulle parole e può parlare al popolo arcobaleno a pieno titolo.

È possibile anche una certa convergenza d’aula tra M5S, Verdi e Sinistra italiana mentre l’ambiguità del Pd potrebbe costare alla segretaria una emorragia di voti: chi dei suoi vuole una posizione più spinta a sinistra può votare con Conte e Fratoianni; chi invece la pensa come Letta potrebbe sostenere il documento di Calenda e Renzi. Per Elly sarebbe la prima sconfitta sul campo.

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