Le spese militari,
record senza
dibattito

Siamo i primi al mondo. Ma non lo ammette nessuno. Eppure il record è di quelli che pesano assai poco virtuosamente sulla coscienza nazionale. La conferma arriva nei giorni d’oro, l’Italia in cima al mondo, medaglie su medaglie ad infrangere altri record. Ma questa maglia azzurra non ci fa onore. Siamo in testa alla classifica delle armi, il Paese del globo che ha cresciuto più di tutti percentualmente la propria spesa militare con un più 7,5%, performance da oro olimpico, più di Stati Uniti, Cina, Russia, India e Regno Unito.

Abbiamo scalato la classifica dei primi quindici con una spesa di qualità, nonostante la pandemia, con una corsa fantastica all’ultimo miglio. I dati del Sipri, l’istituto svedese più autorevole del pianeta nel monitoraggio dei supermercati armati, ci inchiodano senza replica e svelano l’inganno dei numeri. Infatti se è vero che la nostra spesa complessiva non raggiunge il 2% del Pil e apparentemente il dato ci tiene al riparo dalle polemiche dei pacifisti, è purtroppo altrettanto vero che siamo quelli che corrono più veloce come a Tokyo 2020 e, soprattutto, abbiamo scelto il nuovo che si offre su un mercato meraviglioso. superando con uno scatto mai avvenuto nella storia della Repubblica la cifra record di sette miliardi di euro per nuovi armamenti.

La dottrina del ministro della Difesa Lorenzo Guerini su un esercito più moderno, più efficiente, più «proiettato» sugli scenari internazionali è stata un successo. Il virus ha distratto le opinioni pubbliche e la pioggia di miliardi europei ha autorizzato una sorta di «tana libera tutti» e avviato processi mai accordati precedentemente, quando sulla spesa militare si andava più cauti. Questa volta invece mentre Bruxelles il mese scorso autorizzava la madre di tutti i bonifici, il ministero della Difesa con firma del ministro, pubblicava il Documento programmatico pluriennale della Difesa, 250 pagine nascoste tra un oro olimpico e l’altro, che pongono l’Italia in cima alla classifica della vergogna. Anche il dibattito sulla loro necessità è sparito. Per welfare, salute, lavoro, innovazione, digitale, opere pubbliche e il resto ora i soldi li abbiamo, dunque, senza più disagio e imbarazzo politico, occupiamoci gagliardamente di armi accontentando generali e centri studi strategici, lucidando il rapporto tra Forze armate e industria e sostenendo l’export, che per le armi significa vendere a chi le usa o intende usarle. La dottrina Guerini prevede un migliore coordinamento tra Difesa, Esteri, Sviluppo economico e Finanze. Insomma per produrre e vendere bene occorre «sincronizzare», come ha spiegato il ministro in un report di pochi giorni fa «tutte le componenti del Paese». Ecco giustificati i sette miliardi e più per nuovi armamenti.

Avremmo un nuovo cacciabombardiere quando nemmeno sono finite le polemiche per gli F35, che già ci bastavano. Si chiamerà Tempest, due miliardi spalmati in 15 anni. Poi droni, un nuovo veicolo blindato anfibio per Esercito e Marina, il rinnovo completo dei sistemi d’arma di fanteria pesante, 1.600 blindati multiruolo (3 miliardi e mezzo) e una «Next generation fast helicopter», in inglese nel testo per una maggior emozione, e nuove batterie missilistiche e un paio di cacciatorpediniere. Esclusi solo i nuovi sottomarini U212, arnesi probabilmente utili a guerre passate. Proteste? Quasi nessuna, se non quelle delle solite benemerite associazioni dall’Osservatorio Mil€x sulle spese militari, la Rete pace e disarmo, i missionari, qualche giornale. Insomma quelli che cocciutamente credono che Papa Francesco abbia ragione.

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