Le sfide per il Paese, il rischio di sedersi

ITALIA. Il Covid e la guerra in Ucraina sono stati due eventi imprevedibili e scioccanti per l’Europa e per l’Italia. Dal primo, è nato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) con investimenti per oltre 190 miliardi di euro e dal secondo, la risposta nella politica energetica al taglio del gas russo (definitiva dal 1° gennaio di quest’anno) che rappresentava il 46% del gas consumato e che ha portato, tra l’altro, ai rigassificatori e a una crescita molto consistente delle rinnovabili.

Basti pensare che nel 2020 e 2021 l’Italia ha prodotto una capacità di un gigawatt all’anno mentre nel triennio successivo siamo saliti rispettivamente a 3, 5,6 e quasi 8. Il 43,8% della domanda elettrica è ora coperto da rinnovabili rispetto al 48% della media europea, che però si avvantaggia dell’inclusione del nucleare. Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima prevede il 65% di elettricità rinnovabile al 2030. Ciò richiede, a partire da quest’anno, una capacità aggiuntiva annua di 9 gigawatt, un ritmo ancora maggiore di quello accelerato degli ultimi anni. Analogamente, se guardiamo al Pil, l’Italia ha fatto molto bene dal 2019 al 2024 anche rispetto all’Europa, dimostrando un’ottima capacità reattiva alle turbolenze dell’ultimo quinquennio.

. Il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima prevede il 65% di elettricità rinnovabile al 2030. Ciò richiede, a partire da quest’anno, una capacità aggiuntiva annua di 9 gigawatt, un ritmo ancora maggiore di quello accelerato degli ultimi anni

Ora, tuttavia, si incominciano a intravvedere i primi segnali di rallentamento. Sulle rinnovabili, autorizzazioni sempre più ad ostacoli per via delle contrarietà locali e della burocrazia, allontanano la possibilità di raggiungere gli obiettivi fissati. Si pensi, a solo titolo di esempio, che la Regione Sardegna, tra le meno densamente abitate con 65 abitanti per chilometro quadrato rispetto ai 420 della Lombardia, prima in classifica, ha da poco dichiarato «non idoneo» alle rinnovabili il 99% del proprio territorio. Sul nucleare, poi, è più difficile scegliere un sito che costruire una centrale e questo dice quasi tutto sulla nostra capacità di intraprendere una tale scelta, indipendentemente dall’evoluzione delle tecnologie nella direzione della maggiore sicurezza. Per quanto attiene il Pnrr, si va verso la sua conclusione e sappiamo quanto abbia significato in positivo per l’Italia (e per Bergamo) e i relativi investimenti su scuole, università e trasporti. Non sorprende dunque che il Pil previsto per i prossimi anni sia ritornato all’asfissia del periodo precedente il 2019, quando la crescita si misurava in frazioni di punto e malgrado condizioni monetarie ultra espansive, con tassi di interesse prossimi allo zero. E non sorprende nemmeno il calo della produzione industriale in atto da oltre 20 mesi, a cui questi rallentamenti nei programmi del settore dell’energia daranno un ulteriore contributo in negativo, con un ulteriore aumento del costo del chilowattora, già tra i più alti al mondo. E senza crescita, dispiace dirlo, ci sono meno risorse per tutti, a partire da quelle necessarie per aiutare i più vulnerabili. A poco valgono le comprensibili (fino a un certo punto visto quanto sopra) lamentele dei vari portatori di interesse. Meno si cresce, in altre parole, e più la coperta è corta.

Nuovi modelli e nuovo sviluppo

La domanda che dobbiamo porci semmai è la seguente. Davvero abbiamo sempre bisogno di un evento tragico esterno per mettere in moto il Paese e far fare un passo indietro al partito dei veti e alla burocrazia? Speriamo di no e speriamo che le frasi forti del neo presidente americano siano sufficienti a dare la sveglia alla sonnolenta e iper-burocratica Europa. E speriamo che l’Italia, oggi in una posizione di forza politica relativa per la prima volta da molti anni, possa essere promotrice di un nuovo modello di sviluppo. Ne abbiamo bisogno, come il pane si diceva una volta.

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