Le riforme del governo se il clima si infiamma

ITALIA. Giornata di fuoco tra Montecitorio, Palazzo Madama e piazza Santi Apostoli. Protagonista: lo scontro politico durissimo sulle riforme istituzionali portate avanti dal centrodestra, quello stesso scontro che qualche giorno fa ha provocato i disordini d’Aula a tutti noti (purtroppo anche all’estero).

Martedì 18 giugno il Senato ha dato il suo primo sì (dei quattro previsti dalla Costituzione) alla riforma di Fratelli d’Italia che istituisce il premierato, ossia l’elezione diretta del capo del governo e la sua trasformazione in un vero e proprio «capo del governo» e non più un primus inter pares come attualmente è il presidente del Consiglio. Contemporaneamente alla Camera si votava la riforma Calderoli, che è una legge ordinaria, sulla «autonomia differenziata» delle Regioni.

Secondo la maggioranza il premierato garantisce stabilità politica e consegna la scelta del governo al popolo e non più ai «giochi di palazzo»; quanto all’autonomia la Lega nega che si tratti di una riforma che divide le regioni ricche da quelle più in difficoltà. Viceversa le opposizioni, questa volta unite, considerano il premierato un modo surrettizio per introdurre in Italia un sistema autoritario «all’ungherese» con un capo cui obbedire, e definiscono la riforma Calderoli «la legge spacca Italia»: insomma due attentati, all’unità nazionale e alla Costituzione democratica.

Messa così, gli appelli al dialogo fra le parti sono ogni giorno più flebili e privi di speranza: il clima non può che peggiorare. La manifestazione a piazza Santi Apostoli con tutti i leader di sinistra a parte Carlo Calenda e Matteo Renzi, è stata dunque l’anticipo di quello che Pd, M5S, AVS intendono replicare in giro per l’Italia: l’obiettivo è quello di «scaldare il clima» in vista del momento in cui si andrà al referendum. Già, perché il centrodestra non ha la maggioranza sufficiente (due terzi) prevista dall’articolo 138 per le modifiche alla Costituzione: senza quei numeri è automatico che si vada alle urne per richiesta o degli elettori o delle Regioni. Inoltre è quasi certo che contro il testo Calderoli ci sarà il ricorso di fronte alla Corte Costituzionale: lo faranno sia la Puglia di Michele Emiliano che la Campania di Vincenzo de Luca, ieri presente alla manifestazione romana. Più imbarazzata la posizione dell’Emilia Romagna: il governatore Bonaccini, capo della minoranza Pd, pur non avendo partecipato a suo tempo alle iniziative lombardo-venete per ottenere l’autonomia differenziata, tuttavia non ha mai nascosto di guardare con favore ad una riforma che dia alle Regioni maggiore autonomia. Viceversa parecchie perplessità serpeggiano tra i governatori del Sud appartenenti a Forza Italia come Roberto Occhiuto, Vito Bardi e Renato Schifani.

Se si andrà al referendum sul premierato, sapremo se Giorgia Meloni e Matteo Salvini riusciranno ad ottenere ciò non è riuscito né a Silvio Berlusconi né a Matteo Renzi le cui riforme costituzionali furono entrambe bocciate dal voto popolare dopo essere state approvate dal Parlamento. Solo la riduzione del numero dei parlamentari, voluta dal M5S e dalla Lega, è stata approvata nel 2020 dagli elettori.

Invece la riscrittura del Titolo V sulla divisione dei poteri fra Stato e Regioni non passò per il vaglio popolare e, guarda l’ironia della storia, proprio a quella riforma voluta dal centrosinistra (governo Amato, 2001) si appella oggi Roberto Calderoli quando dice: «La mia legge non fa che applicare quei principi».

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