Le Regioni anticipano
un governo poco chiaro

Una dopo l’altra le Regioni, a prescindere dal colore del loro governo, stanno procedendo a dare una stretta ai provvedimenti anti-Covid. Alla firma dell’ordinanza della Lombardia si accompagna la decisione della Campania e al varo, ieri a tarda sera, di quella del Lazio. Seguirà la Sardegna. Il leghista Fontana, i democratici Zingaretti e De Luca, l’autonomista di centrodestra Solinas: i governatori non vogliono perdere tempo – temendo l’accusa di averne perso già abbastanza – e assumono decisioni a tempo (tre-quattro settimane) con l’evidente scopo di evitare un lockdown generalizzato. Il divieto di circolazione tra la notte e l’alba – il cosiddetto «coprifuoco», che purtroppo ricorda tempi assai bui – la stretta sulla didattica a distanza, la chiusura dei centri commerciali nei weekend e in generale la forte pressione per limitare assembramenti e spostamenti che non siano obbligatori sono tutte misure che cercano di invertire la tendenza della curva dei contagi ma lasciano sul terreno un altro pezzo di economia già fortemente colpita da mesi di stretta - il commercio, il turismo, la convegnistica, i servizi, nel tentativo di salvare tutto il resto: le fabbriche, l’amministrazione, le imprese di vario tipo, insomma l’ossatura produttiva del Paese.

Tutti sanno che l’Italia, come gli altri Paesi, non potrebbe permettersi un altro lockdown generalizzato: già così la seconda ondata sta strozzando sul nascere il «rimbalzo» del Pil che il ministro dell’Economia Gualtieri tanto attendeva: ma se davvero dovessimo tornare alle strade vuote per l’intera giornata e il lavoro che va avanti da casa come si può, le conseguenze sarebbero ancora più pesanti. E così, nel frattempo, con i contagi schizzati a quota 15 mila e le terapie intensive che si vanno riempiendo, si va ogni ora imponendo il pessimismo del ministro della Salute Speranza che domenica scorsa in televisione invitava gli italiani a «stare a casa il più possibile»: non è nemmeno il caso per lui di nascondere il sollievo con cui va firmando le ordinanze regionali. Si sa che nel Governo c’è stato un lungo braccio di ferro tra quanti volevano una stretta subito, quasi brutale, e quanti chiedevano maggiore gradualità e temporeggiamento per evitare troppe ricadute sull’economia. Un compromesso di cui si è assunto la responsabilità il presidente Conte ma che ha segnato una certa lacerazione tra i ministri.

Peraltro il confronto è stato duro anche nell’opposizione: non è un mistero che il governatore del «Pirellone» Fontana abbia dovuto rinviare di un giorno la firma della ordinanza (appoggiata compattamente da tutti i sindaci lombardi) per via delle critiche del leader del suo partito Salvini che «voleva capire» prima di dire sì a provvedimenti di cui evidentemente teme l’impopolarità. Ma in un modo o nell’altro la dose di critiche arriverà a qualunque responsabile politico: di più a quelli di governo, senza dubbio, ma l’opposizione di centrodestra non si salverà, se non altro perché ormai governa la maggior parte delle Regioni italiane. Il problema, come ripete spesso il Capo dello Stato che ha ben chiari i pericoli che ci sono davanti, è che la pandemia nella sua furia, mette in difficoltà l’intero sistema nazionale, da quello politico a quello sanitario a quello della scuola e delle grandi istituzioni.

È però anche una grande prova di responsabilità nazionale in cui gli Italiani possono dimostrare la loro coesione: lo hanno già fatto a marzo affrontando dolori, lutti e sacrifici di ogni tipo. La speranza è che la «seconda ondata» non sia terribile come la prima, ma perché un Paese non vada nel panico occorre che tutti stiano al loro posto. Le Regioni in queste ore si stanno muovendo più o meno nella stessa direzione e probabilmente vorrebbero avere alle loro spalle un governo più chiaro nelle sue decisioni.

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