Le Regionali decisive
Il partito di Renzi corsaro
in attesa degli ex azzurri

Non c’è pace per la politica italiana, uscita tramortita dalla crisi di agosto, dalla nascita del governo giallorosso, dalla scissione renziana (quella che Prodi, insospettito dalle intenzioni di Matteo sul prossimo inquilino del Quirinale, giudica uno yogurt a scadenza), adesso aspetta le elezioni in Umbria, Emilia Romagna e Calabria. Sarà dall’esito di quelle regionali che si vedrà quanta presa ha sull’elettorato la strana alleanza Pd-M5S, quanto è minacciosa l’opposizione salviniana e di conseguenza cosa potrà accadere in Parlamento laddove la maggioranza che sorregge Conte è fragile, limitata e frastagliata e cioè, come al solito, in Senato.

L’Umbria, dicevamo. Per quanto vengano descritti «in rivolta», i militanti del M5S hanno accettato votando sulla piattaforma Rousseau la proposta di Luigi Di Maio di allearsi con il Pd per le elezioni regionali. È vero che, per coprire l’imbarazzo di una cosa che suona come surreale alla maggior parte dei grillini, si parla di una alleanza «civica», cioè senza simboli di partito – ma a nessuno sfugge la sostanza: Pd e M5S insieme provano a sostenere l’urto dei voti leghisti. Salvini, prima di questa inedita alleanza, era certissimo di conquistare con facilità un altro trono rosso scosso da uno scandalo che ha costretto (non senza resistenza) la governatrice Marini a dimettersi, proprio come aveva fatto un suo predecessore, la folignate Lorenzetti, sempre diessina, travolta da una questione di appalti. Ora però che si sono unite le forze degli avversari, la vittoria del Carroccio diventa meno scontata. Per questa ragione, la vittoria della Lega sarebbe doppiamente clamorosa e la sconfitta del fronte «rosso» porterebbe seri guai sia a Zingaretti sia, soprattutto a Di Maio. Tanto più che, da quel che si dice, i due starebbero pensando di allargare l’intesa in Emilia Romagna e in Calabria: a Bologna dovrebbe ricandidarsi il governatore uscente Bonaccini, a Cosenza toccherebbe ad un grillino (se vincesse, sarebbe la prima poltrona regionale conquistata da un pentastellato).

Insomma, da queste regionali dipendono molte cose, a cominciare dalla maggiore o minore stabilità del Governo. Anche perché Renzi è pronto a far pesare i suoi 12-13 senatori senza i quali Conte a Palazzo Madama non ha la maggioranza. Se le cose alle regionali si mettessero male, gli equilibri in Senato potrebbero ulteriormente peggiorare per il governo; se invece il Pd riuscisse a salvare Bologna e Perugia dalle armate salviniane, allora potrebbero venir fuori dei rimescolamenti utili a rafforzare la maggioranza diminuendo il potere di ricatto di Renzi. Complicato? Non tanto. Considerando almeno che l’equilibrio politico è così terribilmente precario che qualunque movimento può condizionarlo in un modo o in un altro. Abbiamo parlato dell’Umbria ma il discorso vale il doppio per l’Emilia Romagna, luogo storico e quasi mitico della sinistra italiana. «Se perdono a Bologna, quelli del Pd hanno chiuso bottega» dice la candidata leghista Borgonzoni, ex sottosegretaria ai Beni culturali e fedelissima di Salvini (che a suo tempo la candidò a sindaco di Bologna e lei riuscì a conquistare il ballottaggio).

Dalle votazioni regionali Renzi si tiene formalmente fuori avendo dichiarato che il suo movimento non correrà negli enti locali per almeno un anno. Ma certo sarà il primo a provare ad avvantaggiarsi da come andranno le cose. «Italia Viva» si presenta come un vascello corsaro, veloce e imprevedibile, tutto puntato agli interessi politici del suo capo carismatico. Per quanto Prodi lo abbia di fatto sconfessato dal suo pulpito di fondatore dell’Ulivo e del Partito democratico, Renzi sembra avere ancora tanto filo da tessere. Se non altro perché ancora non si è capito quanti parlamentari di Forza Italia riuscirà ad arruolare.

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