L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 11 Dicembre 2024
Le Province e il governo che parte dal basso
ITALIA. Nella classifica delle prime 10 Province italiane ben 7 hanno lo status di città metropolitana, con annessi e connessi. Solo tre sfuggono a questa regola: Brescia, Bergamo e Salerno.
E anche per questo è a suo molto significativo che Pasquale Gandolfi sia stato nominato presidente dell’Upi, l’Unione delle Province italiane. Sul suo nome c’è stata un’assoluta convergenza, anche perché il futuro di questo (fondamentale) ente territoriale è una questione bipartisan. In sostanza c’è ben poco da dividersi, semmai bisogna trovare una visione comune. Se nel riordino complessivo delle autonomie meglio, anche se pare che su questo tema si continui a procedere in ordine sparso pur davanti a un problema che accomuna tutti, quello delle risorse. C’è un passaggio dell’intervista di Gandolfi che è illuminante: «Le Province non stanno chiedendo risorse in più, ma di non dovere versare allo Stato una parte importante di quelle che incamerano». Se sostituite «Regioni» a «Province» questa dichiarazione potrebbe averla fatta un qualsiasi governatore del Nord, con in aggiunta l’ovvia richiesta di maggiori competenze.
Dopo la riforma Delrio le Province sono in una persistente fase indefinita: da un lato la scelta di farne un ente di secondo livello (votato cioè solo dagli amministratori locali) ha indubbiamente aumentato la distanza con i cittadini, ma dall’altro la sua incidenza resta determinante soprattutto in contesti territoriali come quello bergamasco. E il discorso vale per Brescia e Salerno, tutte nella top ten con un numero di abitanti superiore al milione. Banalizzando la questione, ma nemmeno tanto, un conto è la Provincia di Bergamo, un altro quella di Vibo Valentia, ma anche la stessa Ravenna da cui proviene il predecessore di Gandolfi. Con il massimo rispetto per tutte, beninteso.
La situazione è profondamente differente non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche delle complessità del territorio e della sua dinamicità. Da Fontanella a Schilpario, per fare un esempio terra-terra ci passano quasi 100 chilometro con in mezzo un’infinità di variabili: come coordinare il tutto senza un ente che abbia una visione d’insieme? Ma soprattutto, come farlo in assenza di risorse adeguate e in una situazione di limbo come quella conseguenza di una riforma rimasta lì a metà con la bocciatura della riforma costituzionale nel referendum del 2016? Con competenze che restano ma sempre meno fondi?
Anche per questo l’elezione di Gandolfi ha una notevole importanza, perché il compito di coordinare l’Unione delle Province italiane spetta ora a un presidente che tutte queste contraddizioni le sta vivendo in prima persona dal 2021 e in un territorio particolarmente delicato e complesso, anche per le sue caratteristiche politiche. Fino a non molto tempo fa da qui la Lega nelle sue varie versioni da federalista a secessionista toccava e a volte superava il 40%, a testimonianza di come siano sentiti i temi dell’autonomia, amministrativa e fiscale.
Il nodo autonomia
Ora serve la volontà di tutti nel riannodare tutte quelle questioni lasciate a metà (talvolta a meno...) dalla riforma Delrio, sostanzialmente una colossale incompiuta. E ha ragione Gandolfi quando dice che il percorso deve (ri)partire in modo unitario e condiviso coinvolgendo tutte le forze politiche e chi nelle Province ci lavora ogni giorno. E che sa bene come questa situazione d’incertezza latente sia un gran problema davanti a un quadro di sfide pressoché quotidiane che, nota bene, pur in questa situazione le Province stanno vincendo, prova ne sono i risultati conseguiti nella gestione dei fondi e del progetti del Pnrr. Ma ora finita l’emergenza post pandemia è anche il momento di rimettere questi enti al posto giusto, quello che si sono conquistati sul campo in tutti questi anni difficili, resistendo. La vera autonomia dei territori parte da qui, da enti capaci di rispondere con capacità e fondi alle sfide di ogni giorno.
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