
(Foto di Ansa)
ITALIA. Guerra commerciale e guerra vera e propria hanno riempito le piazze nello scorso week end, prendendosi lo spazio che il dibattito politico non riesce ad occupare con chiarezza.
A sinistra per divisioni evidenti e per timidezza riformista del Pd, a destra per altrettante divisioni e perché sostenere Trump o fare l’occhiolino a Putin oggi funziona un po’ meno. Ma la piazza non può rimediare a questo vuoto: può dare solo una temperatura, un’emozione e alla fine non è nitido il messaggio complessivo, frutto dall’effetto composto di quanto è accaduto a Roma, Firenze e Bologna, dopo l’esordio romano della convocazione di Michele Serra. Essere pacifisti è bello ma generico e allora si misurano solo le presenze, prendendo atto che hanno vinto due realtà opposte: la piazza senza partiti di Serra e una piazza di partito, quella di Giuseppe Conte, con l’aiutino di tanti pacifisti magari lontani dai 5 Stelle ma nostalgici dei tempi in cui si diceva «fuori l’Italia dalla Nato».
Quella di Serra era comunque una piazza «per», in quel caso per l’Europa, mentre quella di Conte era una piazza «contro»: l’Europa naturalmente, ma anche Meloni, bollette e quant’altro. Piazza bellicosamente contro ma pacifista, più facile da riempire perché persino le Miss Italia intervistate con la fascia sanno che volere la pace funziona bene. Ci fa sentire tutti più buoni. Ma, svuotate le piazze, resta il problema politico. Ogni giorno che passa evidenzia i limiti di chi la faceva facile, come Trump che prometteva di risolvere tutto in 24 ore e ora comincia a sospettare che Putin lo prenda in giro. Anche quest’ultimo, peraltro, pensava di occupare Kiev in poco tempo, sottovalutando l’importanza dei valori di un popolo dipinto come corrotto e guidato da nazisti, che invece si sente europeo e difende la libertà anche per i vicini di casa e non solo.
In realtà, il problema chiave gira da tre anni attorno ad un quesito semplice semplice: Vladimir Putin si ferma al Donbas , o allunga le sue mire ben oltre (Moldavia, Polonia e via via)? Perché i casi sono due: o è un bluff e allora vanno bene i cortei e gli striscioni, o è una cosa seria e allora bisogna fare i conti con la realtà. Putin, secondo la Corte dell’Aja, è un criminale, ma non ha mai nascosto le sue intenzioni: riacquisizione del ruolo imperiale della Russia zarista-comunista e lotta morale all’Occidente corrotto, che tutela la libertà fino all’indecenza del gay pride, pratica il bilanciamento dei poteri, rispetta gli oppositori, anziché avvelenarli e ucciderli in Siberia e - orrore - difende lo stato di diritto o almeno tenta di farlo.
È pur vero che dopo aver mandato al macello quasi un milione di russi non può permettersi di perdere o anche solo pareggiare. Negoziare una pace vera è dura. Evgeny Savostianov, ex capo del Kgb, scappato dalla Russia perché critico verso l’ex collega, dice in un’intervista al «Corriere della Sera»: «Temo che da parte di voi europei non ci sia alcuna percezione del rischio che state correndo. Siete sotto schiaffo di due potenze come la Russia e questi nuovi Usa, che detestano profondamente le vostre basi di valori… Siete circondati».
L’Europa deve «assumere lo status di soggetto politico globale, in modo da garantire autonomamente la propria sicurezza». Se ne sta occupando Ursula von der Leyen, facendo slalom tra le differenze di 27 governi, ma il Parlamento europeo la sostiene. Persino il Pd ha corretto in po’ la sua precedente confusione a Strasburgo. Resta il fatto che la difesa comune è l’elefante nella stanza. L’illusione di farne a meno è forse legata alla lontananza dal teatro di guerra, ma allora sarebbe utile leggere quanto dice il premier volenteroso dell’Australia, Antony Albanese, laburista: «Se un grande Paese come la Russia è capace di brutalizzare un piccolo Paese sovrano come l’Ucraina, questo ha implicazioni per la pace e la sicurezza nel mondo, e noi abbiamo un interesse nazionale nell’essere a fianco di Kiev».
Ecco il punto: l’interesse nazionale. Se lo comprendono nel lontano Paese dei canguri (e in Nuova Zelanda) e invece fatica ad affermarsi a poche ore di volo da Kiev, vuol dire che il nazionalismo populista non ha idea delle priorità vere della nazione e del popolo.
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