Le parole di Putin vanno prese sul serio

ESTERI. Nel 2021 Vladimir Putin scriveva in un breve e poco noto saggio: «L’Ucraina è un non Stato, parte della Russia». Riprendeva un antico cavallo di battaglia degli imperialismi zaristi e sovietico, fondamento ideologico della reiterata, violenta repressione di identità, cultura e lingua ucraine.

Le parole dello zar vanno prese sul serio: il 24 febbraio 2022 darà corso a quel pronunciamento avviando l’invasione su larga scala e l’aggressione di un intero popolo. I preamboli di questa mossa peraltro si ebbero nel 2014 con l’annessione illegale della Crimea e il sostegno militare e finanziario, ormai certificato, ai separatisti del Donbas. Nei giorni scorsi Putin ha parlato invece dei Paesi baltici. La Lettonia ha minacciato di espellere 1.200 russi che non hanno completato la procedura richiesta per ottenere il permesso di soggiorno permanente. «È in gioco la nostra sicurezza nazionale» ha detto il capo del Cremlino con toni sinistri. Sinistri perché evocano lo stesso argomento utilizzato nei confronti dell’Ucraina, accusata di rappresentare una minaccia per la sopravvivenza della Russia e di essere «usata» dagli Usa per un imminente attacco.

L’invasione fu quindi presentata come «preventiva», una tesi infondata che però ha riscosso consensi anche nelle opinioni pubbliche europee e italiana in particolare. Ma non c’è stato un solo colpo d’armi sparato sul suolo russo dagli Stati aderenti alla Nato in 75 anni di storia dell’Alleanza atlantica né un piano di aggressione, non fosse altro che per la disponibilità da parte di Mosca di oltre 6mila ordigni nucleari pronti all’uso. Il potere putiniano è cresciuto e si è fortificato proprio sulla percezione di gravi minacce esterne che non si sono mai materializzate. Anzi, è stato lo zar a portare la guerra in Georgia e in Ucraina (occupandone ampie porzioni di territorio), a destabilizzare i Balcani, a confermare (devastando con l’aviazione la regione ribelle di Aleppo) al potere Bashar al-Assad in Siria che gli Usa volevano invece rimuovere, ad espandere la propria influenza in Africa dove il Cremlino è il primo esportatore di armi. Una proiezione nel mondo che non giustifica vittimismi di chi sarebbe succube di una minaccia distruttiva.

In vista delle elezioni presidenziali del prossimo 17 marzo, su alcuni cartelloni elettronici a Mosca è apparsa una foto di Putin sopra una vecchia frase: «I confini della Russia non finiscono mai». Nel 2016, il presidente aveva domandato a uno studente appassionato di geografia dove finisse il territorio russo. Il ragazzo aveva risposto diligentemente: «Allo stretto di Bering». Lo zar lo aveva corretto, suggerendogli appunto che i «nostri confini non finiscono mai»: Mosca difende i russi dovunque si trovino. Due anni prima dell’incontro fra l’allievo e lo zar, era iniziata la guerra nel Donbas e la Crimea era stata annessa proprio nel nome della difesa dei connazionali ovunque essi si trovino. È il principio caro ai nazionalisti al potere a Mosca del «Russkij mir», una comunità di civiltà e valori che includerebbe tutti gli slavi di lingua russa che vivono all’estero, bielorussi e ucraini compresi.

Queste vicende vanno inquadrate dentro fatti epocali che noi europei occidentali abbiamo liquidato con superficialità. La caduta del Muro e poi il dissolvimento dell’Unione Sovietica deciso da Mosca hanno rappresentato due passaggi storici, certo degni di essere festeggiati. Ma una parte del popolo russo, dopo aver sperimentato la breve parentesi della democrazia, economicamente fallimentare, si ritrovò spaesata e impaurita, nei panni dello sconfitto senza una nuova identità. Arrivato al potere, Putin ha curato il trauma con medicine tossiche: stato di polizia e stato di guerra, paranoia da accerchiamento, nazionalismo etnocentrico. Più volte ha ripetuto che «la fine dell’Urss è stata la più grande tragedia geopolitica del ‘900». Dal punto di vista economico e rispetto a Usa e Cina, la Russia è una potenza regionale. Ma l’obiettivo dello zar è di entrare nella storia come colui che ha ridato dignità di impero all’ex Unione Sovietica, conquistando territori dove è possibile, stringendo nuove alleanze con il Sud del mondo e con altri regimi come Iran e Corea del Nord. Il tempo dirà dove porterà questa sfida pericolosa, innanzitutto per i popoli vittime della brama espansionista del Cremlino.

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