L'Editoriale
Domenica 26 Gennaio 2025
Le notizie aprono porte. Il Papa indica la strada dell’informazione giusta
MONDO. Le parole di Jorge Mario Bergoglio nel giorno del Giubileo della comunicazione.
L’ultima si chiamava Ahlan al Nafed, giornalista palestinese di Gaza. L’hanno uccisa il 14 gennaio i soldati israeliani. Nella terribile conta dei giornalisti ammazzati nella Striscia è la numero 204. Era giovane, il suo lavoro prezioso. Anche per lei ha pregato sabato 25 gennaio Jorge Mario Bergoglio insieme a migliaia di giornalisti di tutto il mondo nel giorno del Giubileo della comunicazione. Il Papa ha consegnato il suo discorso, troppo affaticato per leggerlo, fogli altrettanto preziosi, parole dell’unico leader del mondo che si ricorda di chi rischia la vita per raccontare gli orrori della guerra e denuncia che l’anno appena passato è stato «uno dei più letali per i giornalisti», cioè i «vostri colleghi che hanno firmato il loro servizio con il proprio sangue». Il contributo più tragico è quello dei colleghi palestinesi, che per oltre un anno sono stati i nostri occhi nel mattatoio della Striscia altrimenti nascosto al mondo, perché le Forze armate israeliane hanno impedito di andare a vedere.
Il Papa e il «buon giornalismo»
Poi il Papa ha ricordato i giornalisti incarcerati per essere rimasti «fedeli» al loro mestiere, provocando l’ira del potere. Ha detto: «Sono tanti!». Il numero è altissimo e le loro situazioni sono ben diverse da quella di Cecilia Sala, arrestata per essere scambiata. Francesco ha chiesto che vengano liberati, perché «la libertà dei giornalisti fa crescere la libertà di tutti noi», perché «la loro libertà è libertà per ognuno di noi». Sono quasi 600, 86 donne, la Cina al primo posto, il Myanmar al secondo, la Bielorussia al terzo. Sono numeri che misurano il pericolo della libertà di stampa per chi gioca sull’orientamento del consenso. Oggi chi illumina gli spazi in ombra consapevolmente e colpevolmente mantenuti dal potere, chi guarda oltre il perimetro consentito più che nel passato rischia la vita, qualche volta la perde o finisce in carcere. Chi contrasta le trappole del potere e del mercato, ritenendo la professione giornalistica una «vocazione» e una «missione», parole di Francesco, è pericoloso. Il Papa ha spiegato ciò che è buon giornalismo. Ma ha anche denunciato un potere che in alcune parti del mondo ha varcato una nuova tragica frontiera, decidendo di sparare deliberatamente sui giornalisti per impedire che i fatti diventino notizie. L’intera riflessione di Bergoglio merita di essere profondamente meditata. Ha chiesto di costruire ponti, di aprire porte, di prestare attenzione al linguaggio, agli atteggiamenti, ai toni, di non accrescere divisioni, polarizzazioni, di non semplificare la realtà. Insomma di raccontare bene e di raccontare con la speranza che un altro mondo è possibile. Oggi non è facile. La velocità e la fretta imposte dalle tecnologie sfruttano l’emotività, riducono la complessità, incitano a prendere posizione. C’è in giro l’idea abbastanza diffusa che i giornalisti debbano essere degli attivisti. E chi non ci sta e offre spiegazioni viene guardato con sospetto, a volte accusato di intelligenza con il nemico. Non è una novità.
Il potere ha sempre preferito giornalisti trombettieri, che hanno esaltato e sponsorizzato conflitti, alimentato odio e incomprensione e nel caso di esito infausto tutto sveltamente dimenticato e sepolto. Papa Francesco aiuta chi dentro la professione non si conforma ai racconti mainstream, chi alza il dito consapevole poi di pagare di persona, sta dalla parte della stampa che scava nelle coscienze, lenta come una goccia nella roccia, del giornalismo che rallenta, aiuta a capire, non come antidoto alla tempestività, ma come strumento di una tempestività dallo sguardo umano e come atto di resistenza alla guerra e alle propagande dei negazionismi incrociati.
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