L'Editoriale / Bergamo Città
Sabato 28 Marzo 2020
Le lettere al giornale
Un mondo migliore
Le lettere ai giornali sono un formidabile strumento per testare le priorità, i giudizi e l’umore dei lettori. I quotidiani, con tutti i loro acciacchi, riservano uno spazio di comunicazione diretta e non mediata attraverso il quale i cittadini possono dire la loro, nel perimetro di parole civili e senza accuse a rischio di querela. In tempi ordinari permettono di evincere una classifica dei temi che il pubblico ritiene più urgenti: traffico e viabilità, opere pubbliche, situazione economica, ambiente e sanità. C’è addirittura chi si rivolge alla redazione come se fosse un tribunale, chiedendo aiuto per dipanare liti tra vicini o rispondere a denunce riguardo a fatti ritenuti gravi. Il tono va dal garbato all’aggressivo, cifra di questa epoca.
Giungono testimonianze struggenti: chi ha perso il lavoro e a 50 anni, con una famiglia a carico, non sa più dove andare a sbattere la testa per trovarne un altro. Una volta questi appelli tramite il quotidiano non cadevano nel vuoto: il giorno dopo la pubblicazione della lettera qualche azienda chiamava per offrire un posto. Ora non più: a conferma della gravità della crisi economica nella quale ci troviamo. Le lettere arrivano prevalentemente via mail ma c’è ancora chi usa carta e penna, trasmettendoci un senso di nostalgia per tempi andati, quando c’erano anche lettori che usavano la macchina da scrivere ed erano abili a non sbagliare nemmeno una parola.
Da quando è iniziata la tragica emergenza coronavirus nella Bergamasca, giungono solo scritti sulla pandemia, a decine: non era mai successo per altri fatti ed è, nel piccolo, una conferma della gravità della situazione, che non ha paragoni in tempi recenti: si deve andare, con tutti i distinguo del caso, alla Seconda guerra mondiale per trovare un confronto, tra coprifuoco che dura da giorni e il bollettino quotidiano di morti e contagiati. Due sentimenti legano le missive, che hanno un tono basso: la solidarietà e il cordoglio. Lettere di vicinanza alla nostra provincia, tra i peggiori focolai d’Italia, sono arrivate dalla Sicilia, dalla Sardegna, dalla Campania e dall’Emilia Romagna, in particolare da Modena e Ferrara, dove le salme di decine di bergamaschi uccisi dal coronavirus sono state portate con i camion militari - immagine che ha colpito moltissimo anche nel resto della nazione - per la cremazione. «I vostri cari non erano soli» è il messaggio bellissimo arrivato dalle due città.
Tante le lettere di nostri concittadini che imprimono sostegno al capoluogo e ai paesi, facendo leva sui punti di forza del nostro popolo - la laboriosità, l’abilità di (ri)costruire, l’incapacità di piangersi addosso - per ripartire quando sarà il tempo. Un nemico esterno invisibile, spietato e implacabile, ci ha spogliato di tutti gli orpelli, le maschere e le finzioni con i quali conviviamo nel tempo ordinario e ci ha obbligati a guardarci dentro, a confrontarci con il tema del destino e dei desideri più profondi, non quelli indotti dal mercato. Un ritorno all’essenziale, perché l’incontro con la possibilità concreta della fine esalta la nostra pulsione di vita.
Nel paginone di oggi pubblichiamo tra le altre la lettera di una persona originaria del Sud Sudan in guerra, ma che in questo momento si sente « cittadino di questo stupendo Paese» e ringrazia medici e infermieri per ciò che stanno facendo (gratitudine espressa da molti in questi giorni). Emerge il senso di appartenenza ad una comunità, così come dagli scritti di molti bergamaschi, rassicurante e protettiva. Un sentimento che si era un po’ disperso con l’insorgere dell’individualismo e dell’egocentrismo. Il bisogno di sentirsi parte di un’unica realtà di relazioni è ancora più forte: questo essere come sospesi, il restare a casa portando la responsabilità della salute degli altri, ci fa cogliere come non mai che nessun uomo è un’isola.
Le lettere sulla pandemia esprimono un mondo migliore, un desiderio di cambiamento. Cosa resterà quando il coronavirus sarà sconfitto? I sarajevesi, che hanno patito una guerra vera (si rischiava la vita per la libertà, nella nostra guerra alla pandemia si rischia la libertà per la vita) e un assedio durato più di quattro anni, rimpiangono un solo aspetto di quell’epoca tragica: la solidarietà che c’era tra le persone, l’aiuto reciproco, il senso di comunità. Venuto meno il nemico, tutto è tornato come prima. Quando questo nostro dramma sarà finito, il cambiamento dipenderà da ognuno di noi.
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