
(Foto di Ansa)
MONDO. Quattro gravissimi conflitti sono in corso: in Ucraina, nella Striscia di Gaza, in Congo e in Sudan.
In Africa è in gioco il riassetto dei poteri per il controllo di coltan (minerale necessario per la fabbricazione degli smartphone), oro e petrolio. In Europa e nel Vicino Oriente le mire riguardano la ridefinizione di territori: lo smembramento di uno Stato indipendente e sovrano per deucrainizzarlo in un rigurgito revanscista neo imperiale; la soluzione securitaria sulla pelle del popolo palestinese con progetti di annessioni di terre.
Le quattro guerre sono accomunate da ampi, documentati crimini di guerra sui civili. Non risparmiano nemmeno i bambini, anzi: da quando è iniziata la trattativa fra la Casa Bianca e il Cremlino, gli attacchi di Mosca con missili e droni esplosivi sono aumentati del 50% prendendo di mira anche parchi giochi, senza dimenticare il trasferimento a forza in Russia di migliaia di minori ucraini. Nella Striscia di Gaza, una delle aree più popolate del mondo, i bambini uccisi dai bombardamenti israeliani sono migliaia. In Congo l’Unicef ha denunciato l’arruolamento di minori tra le fila dei ribelli.
Nel dibattito pubblico i conflitti in Africa non vengono citati, nell’erronea percezione che non ci riguardino e che non ne siamo coinvolti. Tengono banco le altre due guerre ma in discussioni spesso prive del senso del tragico: si discute con cinica superficialità di territori da cedere ma si tratta di aree abitate, una sorta di gioco al «Monopoli» che non tiene in conto del dramma delle persone e del diritto all’autodeterminazione dei popoli. Un dibattito che fa proprio il clima di rassegnazione alla logica dei rapporti di forza esercitati senza più pudori, in grave violazione del diritto internazionale e del diritto umanitario internazionale.
Ciò avviene in un’epoca definita «del progresso» ma che ripropone pratiche disumane già viste in azione in tempi recenti, come nei vicini Balcani, per chi volle vedere. L’umanità, è noto, non impara dalla storia. Oggi però è urgente contrastare la disumanizzazione crescente, dalla persona ridotta a consumatore fino a bersaglio indiscriminato e indifeso di missili o di atti terroristici. Per contrasto, assumono ancora più valore le testimonianze di cura del prossimo, delle organizzazioni non governative che vanno alla ricerca dei naufraghi nel Mediterraneo e di chi in teatri di guerra salva singole vite.
Nel dibattito pubblico si dice che «la pace giusta non esiste», affermazione che ha un fondamento ma pronunciata con il tono dell’accettazione acritica e a giustificare paci sommamente ingiuste. Spesso si ribadisce poi l’insussistenza del diritto internazionale, violato a turno dagli Stati. Ma quel diritto deve restare pur sempre una bussola, un confine dal quale non recedere se si vuole costruire un mondo migliore: altrimenti quali sono i riferimenti? La sacralità di ogni vita lo è ancora? C’è stato un tempo peraltro nel quale furono siglati accordi per rendere la terra un luogo meno pericoloso. Il 2 novembre 2023 il presidente russo Vladimir Putin invece ha firmato una legge sospendendo la ratifica di Mosca del trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari, adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1996. È in corso un arretramento sul piano degli argini definiti per la sicurezza.
A peggiorare la situazione, l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, artefice di un mandato animato da spirito di vendetta e prassi muscolare, con effetti negativi non sempre noti, anche in territori considerati a torto marginali. Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska che fa parte della Bosnia Erzegovina, ha introdotto nuove norme per vietare l’attività di istituzioni del governo centrale di Sarajevo: un pericoloso progetto di secessione pensato già due anni fa. «Il vento è cambiato - ha detto Dodik - e con Trump non saranno più tutelati Stati fasulli». Ma la Bosnia è uno Stato riconosciuto dall’Onu, non fasullo.
In questa epoca di regresso viene messa in discussione anche la liceità della Corte penale internazionale dell’Aja, che ha emesso mandati di cattura contro Putin (in seguito al trasferimento dei minori ucraini in Russia), tre capi di Hamas (per i massacri del 7 ottobre 2023) e il premier israeliano Benjamin Netanyahu (per aver utilizzato la fame come arma a danno dei civili nella guerra di Gaza). A turno, a seconda di alleanze e di affinità ideologiche, le sentenze sono state definite «politiche», pronunciate invece sulla base di prove. Andrebbero lette le carte delle inchieste, una delle fonti per ritornare al senso del tragico perduto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA