L'Editoriale
Sabato 18 Gennaio 2020
Le fototrappole
e l’emergenza
Installare fototrappole lungo i sentieri del Carso, le stesse utilizzate per intercettare lupi, orsi o cinghiali. L’obiettivo è individuare gli immigrati irregolari che attraverso quei sentieri cercano di varcare il confine tra Slovenia e Italia. I sistemi di rilevazione ottica trasmettono i dati alle forze dell’ordine e facilitano l’individuazione delle persone da rimandare oltre confine. Allo stesso scopo, in quelle zone è previsto l’utilizzo di droni e la creazione di postazioni fisse con telecamere termiche. A Trieste è sorta una polemica politica intorno al piano della Giunta regionale friulana retta dalla Lega, la stessa che pochi mesi fa aveva prospettato l’edificazione di un muro anti stranieri lungo la linea che divide l’Italia dalla ex Jugoslavia. Ma non c’è più un’emergenza immigrazione lungo quella linea (come non c’è più per gli sbarchi): sono solo 5 mila i migranti irregolari scoperti nel 2019 mentre transitavano il confine tra Slovenia e Italia. Tant’è che il nuovo Centro per rimpatri di Gradisca, essendo vuoto, è stato destinato ad ospitare immigrati provenienti da Bari.
Le fototrappole non vengono usate solo per individuare animali, ma sono adottate ad esempio da Comuni per scoprire chi abbandona rifiuti. La vera emergenza è invece la gravissima violazione dei diritti umani che si sta compiendo nei territori tra i Balcani e la frontiera italiana. A evidenziarla basti la storia di Alì, giovane afghano: nel febbraio 2019 era stato catturato dalla polizia croata, che dopo vari maltrattamenti lo aveva rimandato in Bosnia, tra la neve e il gelo, levandogli scarpe e vestiti. I suoi piedi si sono congelati e sono andati in necrosi: il migrante ha rifiutato l’amputazione perché senza non avrebbe più avuto via di fuga in cammino. È morto dopo mesi di sofferenze. La polizia croata poi non si fa scrupoli nell’aizzare cani contro i viandanti, che, feriti dai morsi, restano immobilizzati nel gelo, o a sparargli addosso.
I dati ufficiali parlano di decine di morti in quelle zone solo nel 2018. L’ultimo caso registrato è dell’8 novembre scorso: un ventenne morto di freddo in Slovenia. In quello Stato è stata appena annunciata l’istituzione di un’unità paramilitare di estrema destra per pattugliare i confini. A essere illegale non è soltanto la violenza sistematica, ma i respingimenti stessi. Si dovrebbe sempre esaminare la richiesta d’asilo, nel rispetto dell’ordinamento internazionale. La Slovenia – ma a volte anche l’Italia – attuano invece respingimenti a catena con procedure sommarie. Queste persone vengono poi consegnate alla polizia croata. Le conseguenze non sono solo violenze, umiliazioni e furti. Si contano circa 5.500 uomini, donne e bambini intrappolati in fabbriche dismesse, fra immondizia e topi, in due piccole città bosniache. Manca tutto, dal cibo alle più elementari condizioni igieniche. Questa persecuzione avviene in Europa nell’anno 2020. Ed è una beffa che sia proprio la Croazia dal 1° gennaio scorso ad avere la presidenza semestrale di turno dell’Ue.
Ma c’è chi non è rimasto a guardare: un gruppo di associazioni e organizzazioni non governative ha promosso una petizione alla Corte europea dei diritti dell’uomo contro «la tortura ai confini d’Europa». La ripresa dei viaggi a piedi lungo la rotta balcanica è un termometro di ciò che succede a Sud del nostro continente, così come le nazionalità dei viandanti: soprattutto afghani, iraqeni e siriani, provenienti da Stati dove le mattanze non si fermano. Avrebbero buone probabilità di ricevere l’asilo politico, scappando da Paesi in guerra e se fossero messi nelle condizioni di farne richiesta (anche la Lega si è più volte dichiarata d’accordo nel dare accoglienza a chi fugge da conflitti) invece di essere braccati come animali. Puntano al Nord e al centro Europa, ma chi non riesce a superare la barriera fra Serbia e Ungheria si dirige verso la Croazia. Chi arriva a Trieste, può incontrare in una piazza un gruppo di cittadini che spontaneamente ha deciso di curare i piedi feriti dei migranti, in cammino da centinaia e talvolta migliaia di chilometri. L’altra Europa.
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