Le derive inaccettabili nel partito al governo

ITALIA. «Sieg Heil», in tedesco saluto alla vittoria, è uno slogan che fa accapponare la pelle. Rimanda a folle estasiate e adoranti nei confronti del loro führer.

Veniva pronunciata dalle adunate di massa alla fine dei discorsi di Hitler tre volte ed è la quintessenza del fanatismo nazista che portò l’Europa nel baratro infernale della Seconda Guerra Mondiale. Sentirla ripetere dai giovani di un partito politico italiano, per di più al governo, è profondamente esecrabile e orrendo. Oltre tutto è anche un reato. Liliana Segre quello slogan se lo ricorda ancora oggi e ci riporta – testimone vivente in un contesto di ignoranza culturale generale (basterebbe andare su YouTube) – ai nostri doveri nei confronti del passato e della storia. La senatrice a vita, vittima delle leggi razziali del 1938 e sopravvissuta ad Auschwitz, pensa che «queste derive che sono venute fuori in questa ultima settimana in modo eclatante», ci siano sempre state. «Nascoste, non esibite, ma ci sono sempre state. Ora alla mia età dovrò rivedere di nuovo questo? Dovrò essere cacciata dal mio Paese da cui sono stata già cacciata una volta?». Una domanda che non può essere elusa.

Prendersela con i metodi giornalistici dell’inchiesta del sito on line che ha rivelato il clima e il contesto filonazista – rovesciando la frittata e parlando di metodi di regime perché il sito ha infiltrato un suo reporter - è francamente sbagliato e pateticamente fuorviante. La domanda di Segre è rivolta innanzitutto a Fratelli d’Italia, il primo partito del Paese, che al momento esprime la presidenza del Consiglio, la cui premier e i cui ministri hanno giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione per ricoprire i loro incarichi, compresa la XII disposizione transitoria e finale che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Esistono davvero due volti nel partito di Giorgia? Uno pubblico con cui, in Italia e sulla scena internazionale, si pone con un atteggiamento moderato, politicamente orientato a destra, magari sovranista e nazionalista ma all’interno del perimetro delle regole democratiche, riconoscibile come interlocutore affidabile nel contesto degli altri Stati? E poi un altro movimento sotterraneo, Gioventù nazionale, un cuore di tenebra nascosto – ma non troppo, pronto a emergere all’occasione – come un fiume carsico, un’ombra nera popolata soprattutto da giovani in collegamento però con alcuni esponenti del partito? Un movimento che sotto la superficie della kermesse patinata di Atreju in altre sedi irride ai neri, agli ebrei e ai disabili, che pronuncia parole d’odio («il nero sta bene dappertutto tranne che sulla pelle») che irride a Ilaria Salis augurandole – per scherzo, pare intendere, ma pur sempre con espressioni nauseanti – una morte atroce divorata dalle formiche? Che non disdegna un passato nostalgico che non hanno mai vissuto (Segre invece sì) attraverso slogan mussoliniani e canzonacce del Ventennio?

Questi sentimenti nei giovani del più votato partito italiano e principale partito di governo evidenziano un grave pericolo. Se tollerati, rischiano di rafforzarsi, diffondersi, prevalere. Non basta condannarli in modo blando e superficiale (come peraltro ha fatto la premier): occorre estirparli. Non sono più sufficienti parole di condanna dell’antisemitismo: occorre andare alle radici dell’odio. In questo caso, alle radici fasciste e naziste.

È una risposta che si deve alla senatrice a vita Liliana Segre e, per il suo tramite, agli elettori che hanno prestato e prestano fede al volto ufficiale di Giorgia Meloni.

E diffidiamo del garantismo peloso e ipocrita di chi se la prende con chi fa solo informazione, accusandolo di violazione delle regole etiche o di manipolazione. Infiltrarsi per un’inchiesta giornalistica è un metodo pienamente legittimo, oltre che coraggioso. Ci sono illustri precedenti di tale modalità d’indagine, preziosa ad esempio in passato per documentare le condizioni dei malati nei manicomi di fine Ottocento o quelle dei migranti nel Novecento. Il giornalismo d’inchiesta è essenziale, come ha sottolineato la Cassazione, per conoscere verità con un alto valore civile che altrimenti non si saprebbero. Senza ipocrisie e compromessi.

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