L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 02 Aprile 2021
Le delusioni di Matteo e i pungoli degli avversari che agitano la Lega
Enrico Letta è intenzionato a riprendersi il ruolo di protagonista nella maggioranza di governo, strappandolo a Matteo Salvini: sin dalla nascita dell’esecutivo, il leader della Lega ha esibito la sua sintonia con Draghi (più di quanto non potessero fare i grillini e Nicola Zingaretti, nostalgici di Conte) ma ora il nuovo segretario del Pd porta in dote a Draghi una omogeneità politica che non ha bisogno di essere dimostrata, sia in termini di partito che personali, essendo Letta un esponente dell’establishment di cui Draghi è un capofila internazionale.
Se il Pd «muove» al centro, Salvini deve dunque difendersi, se non vuole essere spostato al margine destro della coalizione e vedere ridotta la sua possibilità di influenza sul governo. Del resto nelle ultime settimane ha avuto più di una delusione: sulla rottamazione delle cartelle esattoriali è stato contentato in parte, e per nulla sull’allentamento delle regole anti-Covid nel mese di aprile (salvo una ovvia promessa che, se i numeri della pandemia lo permetteranno, si rivedranno le restrizioni).
E pensare che, alla vigilia del consiglio dei ministri che avrebbe dovuto varare il decreto-aprile, Salvini aveva adombrato persino la possibilità di ordinare ai suoi ministri di disertare la seduta se non si fosse seguita la sua indicazione. Cosa non avvenuta: e chissà cosa avrebbe fatto in quel caso Giancarlo Giorgetti, primo dei ministri leghisti, molto attento ad assumere un profilo più di governo che di lotta.
Certo, Giorgetti difende le battaglie indicate dal segretario, ma non si impunta più di tanto quando il ministro Speranza gli dimostra coi numeri che i margini per riaprire le attività e gli spostamenti sono molto ridotti se non si vuole provocare un’altra ondata del virus. Salvini è stato un mago a portare un partito semi moribondo fino alla vetta del 34 per cento dei voti delle europee del 2019, conquistando il podio di primo partito italiano e lasciando indietro grillini e democratici in piena crisi. Il capo leghista ha dimostrato una empatia con le folle maggiore di altri leader e una grande capacità di cogliere al volo gli umori dell’elettorato.
Almeno fino alla pazza crisi dell’agosto di due anni fa, quando era convinto di portare gli italiani alle urne e invece ha dovuto assistere alla nascita di un nuovo governo Conte con il Pd e i renziani al posto della Lega. Da quel momento il favore elettorale si è andato riducendo sino all’attuale (secondo i sondaggi) 22 per cento. Che consente al Carroccio di restare il primo partito ma con minori sicurezze. Anche perché ha dietro di sé Giorgia Meloni che ha già portato Fratelli d’Italia al 17 per cento e promette di giovarsi molto dello stare all’opposizione, dove si può criticare senza l’onere di dover anche governare. Sapendo che Giorgia può dare parecchio fastidio a Matteo, Enrico (Letta) ha deciso di darle una mano: per esempio, la aiuterà ad espugnare la presidenza del Copasir (il Comitato parlamentare che vigila sull’attività dei servizi segreti) ora detenuta da un leghista. Secondo la legge, la carica della commissione di controllo spetta ad un esponente dell’opposizione, quindi a Fratelli d’Italia, e se la Lega non vuol mollare la presa nonostante sia passata in maggioranza, il Pd si schiererà con la Meloni. La quale oltretutto pretende, in quanto romana, di dire lei l’ultima parola sul candidato sindaco di centrodestra nella Capitale, su cui non c’è ancora un accordo.
Insomma, non mancano i problemi a via Bellerio. Senza naturalmente dimenticare i problemi della Regione Lombardia, al cui vertice siede il leghista Fontana: alle critiche sulla gestione della pandemia e della campagna vaccinale, ora si aggiungono le grane giudiziarie. Il Pirellone è un simbolo dell’efficienza della Lega nella regione più ricca e moderna d’Italia. Quel simbolo dovrà essere difeso fino in fondo.
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