Le celle affollate e le voci inascoltate

ITALIA. L’8 marzo di 5 anni fa, il giorno del decreto delle zone rosse istituite dal governo Conte, scoppiarono rivolte in molte carceri italiane. Lo Stato per proteggere i cittadini prevedeva il distanziamento.

Ma chi tutelava i detenuti, costretti a stare in celle sovraffollate? A Modena, dopo che un carcerato risultò positivo al Covid, si scatenò l’inferno. Modena aveva, allora, numeri abbastanza simili a quelli di Bergamo. Una capienza di poco più di 300 persone, ma ne ospitava oltre 560. I detenuti fecero irruzione nella farmacia, riuscirono ad accedere ai farmaci che normalmente sono in cassaforte. Nove di loro, quasi tutti molto giovani, morirono nelle ore successive in seguito a overdose di metadone. Fu aperta un’inchiesta giudiziaria, poi archiviata. Fu la più grave strage mai avvenuta nelle carceri della nostra Repubblica, e non esistono casi analoghi in Europa. Eppure in pochi ricordano l’inferno del Sant’Anna, in quell’8 marzo 2020, quando l’Italia era in preda al terrore del Covid e piangeva i suoi primi morti.

Il silenzio sulla strage di Modena, purtroppo, riecheggia quello sull’intero sistema penitenziario, abbandonato a se stesso da una politica che da troppi anni ha deciso di buttare via la chiave di un gigantesco problema sociale, facendo leva sulla persecuzione molto più che sulla prevenzione

L’articolo 3 della Costituzione

Qualche polemica locale, la storia delle vittime raccontata in libri destinati a non diventare best seller (ricordiamo qui Luigi Manconi, Daria Bignardi, l’ultimo di Alessandro Trocino) e nulla di più. Il silenzio sulla strage di Modena, purtroppo, riecheggia quello sull’intero sistema penitenziario, abbandonato a se stesso da una politica che da troppi anni ha deciso di buttare via la chiave di un gigantesco problema sociale, facendo leva sulla persecuzione molto più che sulla prevenzione. Come se la persecuzione di un crimine potesse in qualche modo sostituire l’attuazione di quell’ideale così ambizioso tracciato dallo splendido articolo 3 della nostra Costituzione («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…»).

Come ha sintetizzato il professor Vittorio Manes (docente di Diritto penale all’Università di Bologna) in un’intervista rilasciata a «Il Foglio»: «Il ricorso ossessivo al diritto penale come strumento di risoluzione di problemi sociali anche molto gravi si basa sull’illusione che basti introdurre un reato per ottenere una risposta in termini di diminuzione dei tassi di criminalità, cosa che invece non accade».

: «Il ricorso ossessivo al diritto penale come strumento di risoluzione di problemi sociali anche molto gravi si basa sull’illusione che basti introdurre un reato per ottenere una risposta in termini di diminuzione dei tassi di criminalità, cosa che invece non accade» dice il professor Vittorio Manes

Accade invece che quel meccanismo di vasi comunicanti che sono i trasferimenti fra i vari istituti penitenziari per evitare l’eccessivo sovraffollamento sia ormai saturo, con numeri mai visti nemmeno nella nostra Bergamo (600 detenuti per un carcere che ha una capienza di poco più di 300). Proprio ieri i garanti territoriali dei detenuti hanno incontrato il ministro della Giustizia Carlo Nordio per proporre la loro ricetta, ma le posizioni sono molto distanti, visto che il Guardasigilli ha da sempre escluso qualsiasi provvedimento deflattivo. Così oggi, di fronte a un sistema ormai collassato, a fare il tifo per l’unica soluzione percorribile, cioè un provvedimento di clemenza o almeno di accelerazione delle liberazioni anticipate, ricordando anche il monito del discorso di fine anno del presidente Sergio Mattarella, quando di fronte all’allarmante numero di suicidi del 2024 parlò di «condizioni inammissibili» nelle carceri, rimangono solo qualche politico eretico, i mai abbastanza ascoltati garanti, e la Chiesa con Papa Francesco («propongo ai governi che nell’Anno del Giubileo si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società», ha scritto nella Spes non confundit, la bolla di indizione del Giubileo).

La possibilità dell’indulto

Parole inascoltate. Eppure, l’ultima volta che fu adottato l’indulto, ormai quasi vent’anni fa, degli oltre 27mila detenuti liberati, solo il 35% era rientrato in carcere cinque anni dopo, a fronte di un dato generale che vede intorno al 67% la percentuale di recidiva registrata tra quanti scontano interamente la propria pena in carcere. Al governo c’era Romano Prodi, all’opposizione Silvio Berlusconi, il voto del suo partito fu determinante. Altri tempi.

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