Le bordate di Giorgia e i grattacapi di Elly

IL COMMENTO. Giorgia Meloni arriva a Manduria, nella masseria salentina dove Bruno Vespa organizza il suo festival privato, fresca di un colloquio con il cancelliere tedesco Scholz in cui Germania e Italia si sono trovati d’accordo «sul passo in avanti storico» compiuto con l’accordo europeo in materia di immigrazione.

Un accordo che certo ancora non prevede una obbligatorietà automatica del meccanismo di redistribuzione tra i paesi dei migranti, ma che codifica un sistema di «solidarietà» finora mai anche solo ipotizzato. Anche un avversario politico di Scholz, il popolare Martin Weber, dà atto al governo italiano di «essere al centro» di questa soluzione europea, e si capisce dalle parole dolci del capogruppo PPE al parlamento di Strasburgo che è ormai molto avanzato il lavoro per far alleare alle prossime elezioni europee il PPE e i conservatori-riformisti di cui Meloni è presidente (alleanza da cui invece sarebbe escluso Salvini).

Con questi risultati in tasca, Meloni può rispondere con baldanza a Bruno Vespa su un tema dove viceversa l’Italia è isolata: il governo non ha per ora alcuna intenzione di ratificare la riforma del MES (siamo gli unici che non lo hanno ancora fatto) se non altro perché al momento non è chiaro come sarà il futuro Patto di Stabilità e perché la proposta della Commissione è bocciata da palazzo Chigi.

Tuto il discorso della presidente del Consiglio mira a rovesciare la narrazione della sinistra di una Italia «isolata» in Europa in quanto alleata dei paesi sovranisti del patto di Visegrad: ma proprio il voto contrario di polacchi e ungheresi all’accordo sull’immigrazione che l’Italia ritiene di aver guidato, è la dimostrazione – secondo Meloni – che Roma non è succube di nessuno, nemmeno degli alleati politici del centrodestra.

Il quadro del discorso meloniano si chiude con i risultati economici che premiano il nostro Paese: l’aumento del PIL più alto della media europea, il record del tasso di occupazione e dei contratti stabili (soprattutto femminili), il taglio (da rendere strutturale) del cuneo contributivo sul costo del lavoro. Tutti elementi positivi che non oscurano – secondo Meloni – il fatto che sul PNRR siamo obiettivamente in difficoltà: «Stiamo lavorando, la terza rata dei fondi europei arriverà, la rimodulazione del Piano ci consentirà di ottenere i migliori risultati possibili». Ciò non toglie che a Bruxelles ci stiano guardando con preoccupazione: tra qualche giorno arriveranno a Roma i tecnici della Commissione per verificare come stanno andando le cose.

La conclusione politica della lunga intervista a Vespa è tutta concentrata in un attacco diretto e personale a Elly Schlein. La recente, pesantissima sconfitta del PD alle amministrative è spiegata dalla premier con una linea cui gli italiani evidentemente non credono: «Chi dipinge una destra impresentabile, incompetente, autoritaria e isolata in Europa ha un problema. Ma se vogliono continuare così, si accomodino pure, io non mi opporrò», e il sarcasmo ci sta tutto nei confronti della segretaria del PD sempre più in difficoltà nel suo partito. Ieri Schlein ha provato a replicare a Meloni ma ancora una volta i suoi stessi sodali di partito le hanno rimproverato la vaghezza delle argomentazioni. Inoltre sta creando un subbuglio l’imposizione di un vicecapogruppo alla Camera, Paolo Ciani, che non solo non è iscritto al PD ma non ha alcuna intenzione di farlo e tuttavia medita, da pacifista radicale, di far cambiare linea al partito sull’invio di armi all’Ucraina. Ciani è andato ad occupare il posto da cui è stato rimosso Piero de Luca, figlio del governatore della Campania cui Schlein vuole impedire la ricandidatura (che significa regalare la Regione al centrodestra).

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