L'Editoriale
Lunedì 15 Agosto 2022
Le accuse a Trump. Quel solco in America
Qualunque documento segnato come «classificato». Qualunque informazione o comunicazione relativa a «sottrazione, conservazione o trasmissione di documenti relativi alla difesa nazionale o classificati». Qualunque documento del Governo o della presidenza creato tra il 20 gennaio 2017 e il 20 gennaio 2021 (la presidenza Trump, ndr). Qualunque prova consapevole di alterazione, distruzione o occultamento di qualunque documento classificato.
Questo è ciò che cercava l’Fbi, l’8 di agosto, nella tenuta dell’ex presidente Donald Trump a Mar-a-Lago secondo il mandato di perquisizione firmato da Bruce Reinhart, magistrato della Florida, e reso pubblico pochi giorni dopo dai media americani, interrompendo una tradizione di riservatezza che, secondo il «Wall Street Journal», durava da 232 anni. Si tratta della minore delle anomalie. Perquisire la residenza di un ex presidente non è certo «normale», come non lo è il fatto che il procuratore generale (per noi sarebbe il ministro della Giustizia) Merrick Garland, che si è preso ogni responsabilità, abbia dedicato alla vicenda una brevissima conferenza stampa, come se si trattasse di routine. La destra repubblicana è ovviamente insorta, creando il clima in cui gli esaltati di turno hanno cercato di assaltare sedi dell’Fbi o di picchettarle con uomini armati. Ma è inevitabile che sul presidente Biden gravi il sospetto di aver usato l’arma della giustizia per colpire l’uomo di punta dei repubblicani in vista delle elezioni di medio termine distanti ormai solo qualche mese. Anche perché la caccia al documento e al tradimento arriva a quasi due anni dall’uscita di Trump dalla Casa Bianca.
Detto questo, conviene concentrarsi sulle accuse che il mandato di perquisizione suggerisce. Ipotizzare che Trump possa aver sottratto, alterato, nascosto o trasmesso ad «altri» documenti segreti relativi alla sicurezza nazionale, equivale a ipotizzare che Trump, in sostanza, sia stato un traditore e una spia. Siamo molto oltre l’accusa di aver fomentato, o addirittura organizzato, l’assalto al Parlamento del 6 gennaio 2021, nel senso che la perquisizione dell’8 agosto non solo ha aperto un secondo fronte ma, con la gravità inaudita delle accuse, ha allargato il solco già profondo tra l’America dei democratici e quella dei repubblicani. Difficile immaginare che cosa possa attendersi l’attuale Governo se alle elezioni di medio termine i repubblicani, come molti prevedono, dovessero conquistare la maggioranza sia alla Camera sia al Senato.
Biden ha cercato di chiamarsi fuori, dichiarando di essere stato informato della perquisizione solo a cose fatte. Non ci crede nessuno, ma tant’è. A ben vedere, però, questa spallata alla popolarità di Trump non è che il proseguimento della strategia inaugurata da Barack Obama verso la fine del 2016, quando si cominciava a capire che la sfida a Hillary Clinton del controverso miliardario non era affatto disperata come tutti avevano sempre creduto. Fu Obama a parlare degli hacker russi che lavoravano per Trump, gettando così l’ombra del discredito e del sospetto sulla sua persona e sulla sua politica. Da allora la musica non è mai cambiata, anche se le interferenze russe sono state ridimensionate e nessuna delle accuse a Trump (qualcuno lo descriveva come un agente del Kgb «in sonno» negli Usa) è mai stata provata. È chiaro, però, che la strategia è ancora quella delineata a suo tempo da Obama che, dopo aver presieduto la nazione, è da anni ormai il vero grande stratega del Partito democratico.
Ai democratici, ora, l’onere di provare le accuse, anche se scopriremo se Trump ha violato o no la legge non certo prima delle elezioni di medio termine. Da qui ad allora i repubblicani grideranno ogni giorno al complotto. Ma sono molto lontani dal risolvere il loro, di problema. Il partito è di fatto sequestrato da Trump, la cui vasta ombra oscura ogni altro possibile leader. Nell’America di centrodestra Trump è fortissimo (non si dimentichi che, pur sconfitto da Biden, il miliardario aumentò di svariati milioni di voti i consensi rispetto all’elezione di quattro anni prima), nell’America di tutti la sua condotta scomposta e ondivaga lo rende, come si vede, vulnerabile. Con gli Usa impegnati contro la Russia, contro la Cina, contro la crisi economica, e anche contro l’evidente senescenza del presidente Biden, nulla di tutto questo lascia troppo tranquilli.
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