
L'Editoriale
Martedì 08 Aprile 2025
L’azzardo sul Viminale scava il solco con Tajani
ITALIA. Ora che si è assicurato la guida della Lega da qui al 2027, Matteo Salvini punta al colpo grosso: tornare al ministero dell’Interno.
Sgravato dalle accuse legate alla vicenda della Open Arms proprio mentre lui era alla guida del Viminale, Salvini ha fatto fare ai colonnelli del suo movimento una richiesta chiara e precisa: «Ci tocca di nuovo il ministero dell’Interno per Matteo». E lui, raccogliendo generosamente la richiesta dei seguaci, ha promesso: lo chiederò a Giorgia Meloni. La quale, però, a suo tempo aveva risposto indirettamente tessendo l’elogio di Matteo Piantedosi, il prefetto attualmente ministro che peraltro di Salvini fu il capo di gabinetto negli anni del governo Conte: «Fa benissimo, perché cambiarlo?».
La risposta di Tajani
Adesso Giorgia si è fatta più accorta e ha preferito chiedere a Tajani di parlare in vece sua. Tajani, reduce da ripetuti duelli con il suo pari grado vice premier, non se lo è fatto ripetere due volte e ha risposto mettendoci il carico da undici: «Se Salvini va al Viminale noi andiamo da Mattarella e ci sfiliamo», ossia Forza Italia si dichiara pronta ad aprire la crisi di governo. E la grana è bella grossa.
Salvini avrebbe fatto bene i suoi conti: per mettere definitivamente in archivio da qui ai prossimi anni la «questione Zaia», vuole da Meloni e Tajani che il governo approvi una legge che dia la possibilità di un terzo mandato per i governatori regionali (che poi per il Veneto sarebbe il quarto, ma passi).
Insomma, Zaia ancora sul trono del Doge e lui al Viminale a coltivare le vere passioni della sua vita: la lotta all’immigrazione illegale, agli sbarchi, alle Ong. Visto che la battaglia per il Ponte di Messina non ha sortito i risultati elettorali sperati – anzi ha fatto arrabbiare non pochi imprenditori del Nord – tanto vale tornare al vero core business della Lega trumpian-sovranista che lui ha forgiato. Obiettivo: risalire dal modesto 9 per cento di voti cui la Lega si è ridotta e ripuntare in alto, certo non verso quel fantastico 34 per cento delle Europee del 2019, ma almeno verso un risultato a due cifre. A forza di contrastare la «sinistra degli sbarchi indiscriminati» e poi di combattere «l’Europa nemica delle imprese» e di dire no e poi no a qualunque piano di riarmo, Matteo spera di tornare in prima fila e lasciare finalmente indietro Forza Italia: il partito azzurro, dato per morto in contemporanea con la scomparsa del suo fondatore Berlusconi, si è invece lentamente ripreso dallo choc e, sotto la guida moderata e rassicurante di Tajani, ha ripreso a macinare consensi reclutando qua e là consiglieri regionali e deputati nazionali proprio della Lega.
Anche così si spiega il continuo scontro tra Salvini e Tajani, con il ministro degli Esteri pronto a sbarrare continuamente il passo a Salvini ogniqualvolta prova a forzare la linea del governo nella politica estera: «Quella la decidiamo la presidente del Consiglio ed io, gli altri possono parlare liberamente, ma sono opinioni personali». Tanto più quando creano imbarazzi a palazzo Chigi e alla Farnesina, come quando Salvini diede del «matto» a Emmanuel Macron, che è pur sempre il presidente della Repubblica di un Paese amico legato a noi da plurimi rapporti e trattati.
«Una richiesta politica»
Ecco dunque in quale contesto si situa la nuova sparata salviniana: la sua richiesta del Viminale è «politica», precisa lui, non insomma un capriccio primaverile, e se non viene soddisfatta può provocare giustappunto conseguenze politiche. Fino alla crisi di governo? Non scherziamo. Fuori della cabina di regia del potere, Salvini non avrebbe una vera possibilità di riprendersi un po’ di voti. Ma certo può continuare a scuotere l’albero.
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