Lavoro, tre indizi fanno una prova

ITALIA. Il primo segnale è arrivato dal dato sulla produzione dell’industria metalmeccanica: meno 3,1% nel primo trimestre.

Il secondo, tre giorni fa, con i risulti delle esportazioni, punto di forza delle nostre aziende, che da gennaio a marzo sono diminuite del 5,8 per cento. Da ultimo venerdì 14 giugno, fresco di stampa, il Rapporto della Provincia sul mercato del lavoro da cui emerge che anche i ritmi di crescita delle assunzioni, sulla scia del rimbalzo nel post pandemia dell’economia bergamasca, stanno rallentando (-4,1%).

Dobbiamo forse preoccuparci? Presto per dirlo, anche i sindacati invitano ad aspettare i numeri del 2° trimestre prima di fasciarsi la testa. Tuttavia, come recita il famoso aforisma di Agatha Christie: un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Qualche riflessione, quindi è opportuna.

C’è da dire che a Bergamo, che vanta un’economia solida con ritmi di crescita invidiabili e un tessuto imprenditoriale attento, il rallentamento era atteso. Le aziende erano preparate, per questo motivo grandi segnali di allarme non si avvertono. Per ora vale il motto: nervi saldi e fila serrate. I sondaggi che girano nelle stanze delle associazioni, rilevano un sentiment diffuso di «prudente preoccupazione» tra gli imprenditori. Certo, tutti sperano in una ripresa in tempi brevi ma sono in pochi a crederci. Alla luce dei risultati delle recenti elezioni europee, tutti ormai si attendo un periodo di instabilità politica che i mercati poco gradiscono. La speranza è che l’economia tedesca finalmente riparta, finalmente. Sarebbero tutti più contenti, ma il controverso esito elettorale che ha scosso anche il governo di Berlino, non aiuta. Comunque, i fondamentali dell’economia bergamasca (innovazione, diversificazione, solidità patrimoniale), per ora tengono.

In questo scenario, inevitabili le ripercussioni sull’occupazione. Non dimentichiamoci, tuttavia, del presupposto da cui si parte: Bergamo ha chiuso il 2023 con un tasso di disoccupazione del 2,9%. Un record, positivo, che mezzo mondo ci invidia. Dunque, il rallentamento registrato nel primo trimestre giusto analizzarlo ma per quello che è. L’industria richiede meno manodopera (-11.5%), è vero, ma arriva da un periodo di grandi stabilizzazioni, cioè di trasformazioni di contratti a termine (o di somministrazione) in assunzioni stabili. E questo è un bene: il lavoro precario, non esclusivo delle figure non specializzate, riguarda una quota importante di giovani che a causa dell’instabilità vedono così frenate le loro aspettative.

Il report della Provincia evidenzia anche importanti cambiamenti in atto nel mercato del lavoro bergamasco. La nota positiva riguarda le donne. Vedere la curva in salita del grafico delle assunzioni per genere allarga il cuore e induce all’ottimismo. L’anno scorso il tasso di disoccupazione femminile in Bergamasca, storicamente alto, era sceso dell’ 1,1%rispetto al 2022. Piccolo passo per abbattere quel muro del 40% di inattività femminile , che ci inchioda in fondo alla classifica nazionale. Aspettiamo a cantare vittoria, se però la tendenza venisse confermata, potrebbe significare che le numerose iniziative di welfare aziendale a sostegno della famiglia stanno portando risultati concreti. Tra i benefit più gettonati, dai dipendenti di tutti i livelli, non c’è l’abbonamento della palestra ma la flessibilità di orario di ingresso e uscita dal lavoro per permettere alle mamme (e ai papà) di accompagnare i figli al nido o a scuola senza grandi patemi e richiami del capo. Così pure i giorni extra di permesso (pagato) per le emergenze dei figli piccoli o degli anziani genitori.

Da ultimo, ma non per importanza, sarà interessante monitorare anche l’incremento delle assunzioni di stranieri, certificato dal report, che raggiungono la quota record del 37,1% sul totale. Pure in questo caso, se le percentuali continuassero ad aumentare, sarebbe difficile negare l’evidenza: cioè che l’economia bergamasca degli stranieri non può fare a meno. Anche questo un segno di modernità.

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