Lavoro ai giovani
Restano troppi nodi

I giovani disoccupati continuano a crescere. Insieme alle donne, sono l’anello debole della crisi scatenata dall’emergenza Covid (i primi a saltare sono stati proprio i contratti a termine). Se infatti, secondo gli ultimi dati Istat, ad agosto aumenta il numero degli occupati dipendenti e autonomi (ma non basta per riequilibrare il calo causato dalla pandemia), la disoccupazione giovanile è in aumento. Per la fascia d’età 15-24 il tasso cresce al 32,1 per cento, con un più 0,3 per cento rispetto a luglio. Con il termine disoccupazione giovanile ci si riferisce a quei ragazzi che non studiano e non lavorano, ma sono in ricerca attiva di un’occupazione. Il problema riguarda soprattutto il Mezzogiorno, ma non solo. Le due peggiori regioni sono Campania e Sicilia, dove la disoccupazione giovanile tocca punte del 70 per cento. La migliore è il Trentino Alto Adige, la regione della formazione-lavoro e dei contratti di apprendistato, che scende al 15 per cento.

A Bolzano è addirittura al 9 per cento. In Europa la media della disoccupazione giovanile fra tutti i Paesi, considerando la fascia di età 15-29 anni, è del 12,5 per cento. Il peggior Stato europeo per disoccupazione giovanile è la Grecia, con un tasso vicino al 40 per cento. Seguono la Spagna, al 32,7 e l’Italia, al 31,4 per cento. Il miglior risultato, invece, si registra in una nazione del gruppo di Visegrad, la Repubblica Ceca, con circa il due per cento. Seguono la Polonia, con il 2,9 per cento, e l’Olanda, con il 3 per cento.

Non dobbiamo dimenticare che la disoccupazione giovanile, soprattutto al Sud, può anche essere la spia della diffusione del lavoro illegale.

La pratica di prendere persone a lavorare in officina, in cantiere o in fabbrica in nero, soprattutto al fine di evadere le tasse, è molto diffusa in Italia, soprattutto nel Meridione. Inoltre, in un Paese con tante aziende a conduzione familiare, spesso i ragazzi iniziano in maniera «informale» nell’azienda di papà, per poi essere messi in regola in un secondo momento. Il sommerso di fatto altera non poco, in particolare in Italia, i dati della disoccupazione, che resta alta.

Quali le cause e i rimedi, al di là di queste considerazioni? La prima è che naturalmente non ci potrà essere un robusto aumento dell’occupazione giovanile senza la ripresa economica e senza risorse destinate a questa fascia generazionale. I fondi a disposizione del Recovery Plan fanno sperare. Il ministro Gualtieri stima una ripresa per il 2021 addirittura del sei per cento di Pil, grazie a due manovre espansive che non terranno conto del deficit. Gualtieri si è anche detto fiducioso riguardo alla trattativa per il Next Generation Eu (il piano per la ripresa in Europa da 750 miliardi). Taglio del cuneo fiscale e revisione degli incentivi per le famiglie saranno invece due punti della riforma del fisco. Vi sono poi delle cause per così dire «strutturali» che vanno rimosse. Non esistono allo stato attuale particolari politiche per favorire l’occupazione giovanile (vedremo quando il Governo presenterà un piano più dettagliato di ripresa che è tenuto a inviare a Bruxelles entro metà ottobre). Inoltre l’innalzamento dell’età pensionabile e il sistema di calcolo contributivo non favoriscono certo le giovani generazioni. In Italia la staffetta generazionale non c’è, o quanto meno non funziona. Vi è poi il problema del reddito di cittadinanza. Forse è il caso di avviare un dibattito sul loro funzionamento (che esiste in tutta Europa, beninteso, ma con altre cifre, altri sistemi di Welfare e altro contesto industriale) e sulla loro azione «frenante» sull’occupazione. Molti esercenti o imprenditori si lamentano di non trovare personale poiché la differenza col reddito di cittadinanza non è poi così ampia e dunque per il giovane che si affaccia sul mercato del lavoro non vale la pena. Per non parlare di coloro che per non perdere il beneficio chiedono solo lavori in nero. Pochi, a parte i «navigator» hanno trovato un’occupazione grazie a questo provvedimento.

© RIPRODUZIONE RISERVATA