L’autonomia, soluzione o nuovo problema?

ITALIA. L’uno-due è riuscito: dopo il primo «sì» al contestato premierato, mercoledì 19 giugno è diventata legge l’autonomia regionale differenziata. Al trittico divisivo e della discordia manca la riforma della giustizia (separazione delle carriere fra pm e giudici), ma è questione di tempo.

Lo sprint del centrodestra, in un clima di guerriglia parlamentare culminata negli scontri di mercoledì scorso, segnala due cose: la maggioranza si sente incontrastata e così offre il destro alle opposizioni di ritrovarsi unite, condizione non proprio ordinaria. Il clima politico appare declinato in termini radicali. L’autonomia sta coerentemente nel tridente delle riforme che sono identitarie: esprimono precise istanze dei tre alleati nel quadro di una distribuzione dei compiti e delle bandierine. L’autonomia alla Lega, il premierato a Fdi, la giustizia a Fi. La pax meloniana fra i soci di maggioranza per ora ha provocato le seguenti reazioni. Governatori e amministratori del Sud, e dello stesso centrodestra, hanno già fatto sapere di essere contrari.

Contro il premierato c’è un appello di 180 costituzionalisti. Sulla giustizia le toghe si sono compattate, compresa la corrente di centrodestra. L’autonomia non è nelle corde di Fdi, che inclina verso la verticalizzazione del potere e del leaderismo. Meloni e Tajani temono di perdere voti al Sud. Pure Salvini, fino a ieri, non ha mostrato un particolare fervore. È piuttosto la storica bandiera della Lega padana, dei Calderoli e degli Zaia, fiorita dentro la stagione del forzaleghismo, al tempo del ruspantismo di «Roma ladrona», e ora giunta a compimento in un mondo stravolto e dai magri consensi.

L’agenda è cambiata, l’autonomia non scalda i cuori come allora e il Covid, in materia di sanità, ha raccontato una storia diversa, ridefinendo le priorità. Il disegno di legge si innesta sulla riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 e sui referendum in Lombardia e Veneto nel 2017, regolando le intese fra lo Stato e quelle Regioni che chiederanno un livello di autonomia differenziata in 23 materie. Parole d’ordine: autonomia, coesione, sussidiarietà. Il punto controverso e da dimostrare è proprio la coesione, anche perché il dibattito sull’autonomia era nato in un’atmosfera conflittuale, di rivendicazione retorica del virtuosismo del Nordest. C’è chi ha parlato di «secessione dei ricchi», di un Paese Arlecchino e di un governo centrale che avrebbe poteri residuali e competenze soltanto su pezzi geografici: accuse decisamente respinte dalla Lega.

Tuttavia le preoccupazioni per un futuro disuguale restano. Anche i vescovi se ne sono fatti interpreti e ieri il cardinal Parolin s’è augurato che il provvedimento non crei ulteriori squilibri fra una parte e l’altra dell’Italia. I sondaggi non avallano l’autonomia: il sentimento prevalente di chi risiede al Sud, slegato dai partiti e radicato nel territorio di provenienza, è quello di un provvedimento «punitivo» che acuisce la distanza fra Regioni più ricche del Nord e quelle più povere del Meridione. L’Istat conferma che i divari territoriali faticano ad attenuarsi. Negli ultimi 20 anni le disparità Nord-Sud, in termini di Pil pro capite, già forti, si sono ampliate ancora di più.

Il problema – come dice Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte costituzionale – è che nessuna legge ordinaria può superare il dettato costituzionale, quindi va valutato in che modo si attribuiscono le condizioni particolari di autonomia senza alterare i principi costituzionali dell’unità del Paese, della solidarietà nazionale e dell’uguale sviluppo dei territori. Da qui la domanda: l’autonomia è parte della soluzione o aggiunge un problema?

© RIPRODUZIONE RISERVATA