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MONDO. Il 24 febbraio 2023, in occasione del primo anniversario della guerra in Ucraina, la Cina ha presentato un Piano di pace in dodici punti che di fatto delineava la «summa» della visione politica del presidente Xi Jinping rispetto allo scenario politico mondiale.
Oltre a proposte relative alla soluzione della guerra in corso con l’invito a «cessare le ostilità», «riprendere i colloqui di pace» e «rispettare la sovranità di tutti i Paesi», il Piano avanzava un esplicito invito ai responsabili politici per un comune impegno volto a: «abbandonare la mentalità della Guerra fredda»; «risolvere la crisi umanitaria»; «mantenere sicure le centrali nucleari»; «ridurre i rischi strategici»; «facilitare le esportazioni di grano»; «eliminare le sanzioni unilaterali»; «mantenere stabili la catene industriali e di approvvigionamento». Queste proposte hanno trovato conferma in occasione del G20 del 18 e 19 novembre scorso a Rio de Janeiro. In quella occasione Xi Jinping ha ribadito la necessità che i rapporti internazionali siano ancorati ai principi del «libero mercato» e del «multilateralismo» e ha rimarcato l’opportunità di una riaffermazione del ruolo dell’Onu attraverso una sua profonda riforma.
È una visione, questa, che appare oggi in netto contrasto con il «revisionismo» di cui si sta facendo portatore il presidente Donald Trump che, come noto, in campo commerciale prevede il ricorso a «dazi protettivi» e a «scambi bilaterali», tradendo i tradizionali principi liberisti di cui si sono da sempre fatti portatori gli Stati Uniti. Di questi principi si fa oggi paradossalmente fermo sostenitore Xi Jinping, il capo del più grande Paese comunista al mondo. Peraltro, in occasione della prima avventata imposizione di dazi americani al Canada, al Messico e alla Cina, il presidente cinese ha tenuto ad affermare che «la guerra dei dazi non ha fatto mai vincitori perché è in contrasto con i principi fondamentali dell’economia». Un ruolo in cosante ascesa quello della Cina, anche in qualità di principale punto di riferimento nell’ambito del Brics, associazione costituitasi nel 2006 per volere di quattro nazioni - Brasile, Russia, India e Cina - alle quali si è aggiunto nel 2011 il Sud Africa e nel 2024 anche Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti. Nel vertice dello scorso ottobre a Kazan, in Russia, si è deciso di aprire l’organizzazione a una lunga fila di Paesi che saranno ammessi con lo status di partner. Già oggi il Brics rappresenta più della metà della popolazione del pianeta (contro appena il 10% del G7) e oltre il 40% del Pil mondiale.
L’Unione europea, fino ad oggi, ha dato poco peso all’iniziativa confidando sulle differenti posizioni politiche dei vari aderenti, alcuni dei quali da tempo in lotta tra loro per dispute territoriali, come il caso di Cina e India. Gli Usa, in particolare, hanno ritenuto che gli scopi dell’alleanza fossero soprattutto di natura commerciale, tenuto conto della necessità della Cina di trovare crescenti sbocchi alle proprie esportazioni, necessarie per consentire una crescita a due cifre dell’economia e contenere le larghe sacche di povertà ancora diffuse in alcune sue regioni. Tuttavia, quanto avvenuto a Kazan, presenta aspetti di grande rilievo che devono indurre tutti a una profonda riflessione. Al cospetto di una situazione di grave instabilità mondiale (Ucraina e Medio Oriente), di una crisi profonda delle istituzioni internazionali e nella cornice di un multilateralismo in crisi, Xi Jinping con un lungo intervento ha rilanciato l’esigenza di un’alternativa all’ordine mondiale vigente.
Gli obiettivi indicati sono stati principalmente tre: la riproposizione della centralità del ruolo degli organismi internazionali; la riaffermazione del «multilateralismo» e dei principi di «libero mercato»; il contrasto al dominio del dollaro attraverso una graduale «dedollarizzazione». Quest’ultima è già in parte avviata, con un crescente utilizzo negli scambi commerciali tra i Paesi del Brics del Renminbi (youan), la moneta che ha corso legale nella Repubblica popolare cinese. Dopo l’elezione di Trump e i suoi primi interventi politici, nettamente contrastanti con le istanze avanzate a Kazan, si stanno prefigurando due diversi assetti politici mondiali con i quali tutti i Paesi del mondo saranno chiamati a fare i conti. L’Europa, in particolare, dovrà analizzare il nuovo scenario sul piano politico e commerciale, con la mente libera da ogni pregiudizio.
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