L’antiberlusconismo, la sinistra e il ritorno al primato della politica

POLITICA. Divisivo in vita, divisivo in morte. Non poteva che essere così. La figura di Berlusconi è stata troppo pervasiva per non lasciare una traccia indelebile nella politica nazionale. Per trent’anni non si poteva essere che berlusconiani o antiberlusconiani.

È proprio in questa sua capacità di tracciare le linee di divisione del campo politico, creando il fronte dei sostenitori contro quello dei suoi nemici, che paradossalmente si misura il ruolo dominante della sua figura in quest’ultimo trentennio di vita politica.

Perlopiù ci si concentra sul successo strabiliante con cui in quattro mesi (dal gennaio al marzo 1994) ha costruito dal nulla un partito maggioritario e che, sorprendentemente, ha conquistato la guida del Paese. Non si riflette abbastanza sul fatto che il padrone di Mediaset non solo ha reso la destra per la prima volta nella storia d’Italia competitiva, ma ha anche ritagliato sulla sua immagine l’impostazione politica assunta dall’opposizione. Da allora la sinistra è stata soprattutto, e prima di tutto, anti-berlusconiana, condizionata nella sua strategia. Se pensiamo che un politico come Fausto Bertinotti è arrivato a dire che è stata «drogata», riconosciamo come la sua identità sia stata appiattita sul contrasto al demone Berlusconi, lasciandola afona sulla sua autentica missione.

Anche in questi giorni si sentono ribadire dall’opposizione i punti cardine dell’anti-berlusconismo. Anzitutto, la contaminazione dell’etica pubblica tramite quell’«individualismo amorale» di cui il tycoon di Arcore sarebbe stato alfiere.

In secondo luogo, il conflitto di interessi che lo avrebbe portato a far approvare soprattutto leggi ad personam per garantirsi l’impunità.

In terzo luogo, la sua condanna in via definitiva per evasione fiscale che sarebbe solo la punta di un iceberg di illegalità perpetrata dal padrone di Mediaset. Da ultimo, una vita condotta all’insegna di un edonismo contrassegnato da un fondo di misoginia di cui le «serate eleganti» con le «Olgettine» sarebbero il marchio.

Come si vede, sono tutti rilievi che attengono alla sfera dei valori e della moralità, pubblica e privata, del leader di Forza Italia. Ma con il moralismo si può fare del giustizialismo. Non si fa politica. Eppure del primato della politica la sinistra è stata la grande sostenitrice per tutto il lungo Dopoguerra, dominato dalla Guerra fredda. Essa aveva della politica una considerazione «alta». Aveva l’idea che la realtà fosse integralmente permeata dalla politica, capace di determinare i grandi movimenti della storia, in grado di emancipare l’individuo, convinta che la persona dovesse essere giudicata in base all’ideologia che sostiene le sue azioni e non per la moralità o immoralità di quelle.

È dalla fine anni Sessanta che si assiste ad un suo slittamento che la spinge a passare dalla competizione programmatica a quella retorica sui valori socialmente condivisi. Un percorso, questo, che l’ha portata a trascurare l’autentica proposta sulle politiche sociali ed economiche per rifugiarsi nella competizione sui valori. In qualche caso, questo cambiamento di rotta l’ha costretta ad abbandonare battaglie che facevano parte della sua storia, come il garantismo, ora rigettato perché contagiato dall’ombra di Berlusconi. Prima si libera dell’antiberlusconismo e meglio è per lei.

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