L’america armata si scopre fragile

MONDO. «Lost America», America smarrita: è il titolo che va per la maggiore sui media statunitensi dopo l’attentato a Donald Trump, figura carismatica e controversa, sgusciante come una locusta.

Un’onda di shock e sgomento ha attraversato tutto il Paese, scuotendolo fino alle sue fondamenta e lasciando un segno indelebile non solo su ciò che ruota intorno al Campidoglio, ma anche nell’animo stesso della nazione. Del resto l’ex presidente americano ha sempre innescato forti emozioni tra i suoi sostenitori e detrattori. La sua leadership, caratterizzata da politiche polarizzanti e retorica incendiaria, sprezzante, spesso rozza e degna di «House of Cards», ha diviso il Paese in modo profondo, portando i suoi sostenitori più fanatici ad assaltare il Campidoglio nel gennaio 2022.

L’attentato ha anche messo in discussione la sicurezza del processo democratico e la stabilità delle istituzioni. I servizi segreti americani stanno passando i loro giorni peggiori dopo l’omicidio Kennedy. Se è stato ferito uno degli uomini più protetti al mondo, qualunque cittadino americano può esserlo. Nell’attentato è morto un padre di famiglia, colpevole di proteggerla. I media hanno dedicato copertura continua all’evento, mentre i social network sono stati invasi da messaggi di solidarietà e, purtroppo, anche di odio. Le teorie del complotto non hanno tardato a diffondersi, alimentando un clima di sospetto e paranoia. «Make America great again» è lo slogan di Trump». Ma l’America di questi giorni, anche quella repubblicana, si sente fragile e stordita. Il vecchio senatore repubblicano Mitch McConnell continua a ripetere sulle tv, con la pacatezza dei suoi 82 anni, che «questo vile atto di violenza non farà altro che rafforzare la nostra determinazione a proteggere la democrazia e i nostri valori». Dall’altra parte dello spettro politico, i democratici – alle prese con la senescenza del loro candidato Biden - hanno espresso preoccupazione per l’escalation di brutalità politica, chiedendo una riflessione collettiva sul clima di odio e divisione che ha caratterizzato gli ultimi anni. «È un momento di grande dolore per il nostro Paese. Dobbiamo unirci per superare questo periodo buio e lavorare insieme per una società più giusta e pacifica», commenta Nancy Pelosi. Saprà assorbire l’onda d’urto dell’odio il Paese più potente del mondo?

Lo ha fatto dopo l’11 Settembre. E oggi, alla vigilia di una campagna elettorale che si preannuncia incendiaria? Intanto ci sono le conseguenze politiche. C’è chi dice che da domenica Trump ha saldamente in mano le chiavi della Casa Bianca. Ha dimostrato audacia, sangue freddo, determinazione, spirito di lotta. Quello che piace agli americani, che hanno pur sempre nel sangue lo spirito yankee della nuova frontiera. L’attentato rafforza il suo ruolo di martire e galvanizza i suoi sostenitori, lo rende simpatico ai suoi detrattori. Mark Meadows, suo ex capo di gabinetto, dice che l’attentato ha solo rafforzato la «determinazione di Donald a lottare per il popolo americano. Questo non lo fermerà».

Altri, invece, temono che questo episodio possa esacerbare ulteriormente le tensioni già esistenti, portando a una radicalizzazione ancora maggiore degli elettori. A livello sociale, in fondo, l’attentato ha messo in luce le profonde fratture all’interno della società americana, compresa quella tra chi vorrebbe mettere al bando le armi e i «pistoleri» (negli Stati Uniti ci sono 16 milioni di fucili come quello dell’attentatore). Il clima di polarizzazione politica, già esasperato dalle elezioni del 2020 e dalle successive dispute sul risultato, è peggiorato ulteriormente. Le tensioni razziali, le disuguaglianze economiche e le divergenze culturali sono emerse con ancora più forza, rendendo difficile trovare un terreno comune su cui costruire quel dialogo costruttivo auspicato da Nancy Pelosi. I cronisti televisivi percorrono in lungo e largo l’America profonda, dalla Virginia all’Ohio, dai Paesi del Midlands alla California, intervistando uomini e donne in ansia ripresi mentre balbettano davanti agli steccati delle loro villette di legno con giardino. La paura della violenza politica ha aumentato l’ansia tra i cittadini, molti dei quali si chiedono se il Paese possa mai tornare a una sorta di normalità. Gli atti di violenza politica non sono una novità nella storia americana, ma l’attentato a una figura così prominente (si potrebbe dire ingombrante) come Trump ha risvegliato memorie dolorose e ha creato un senso di vulnerabilità diffusa. Alla fine di queste considerazioni il futuro dell’America post-attentato rimane incerto. Le istituzioni democratiche sono messe alla prova e la capacità del Paese di superare questa crisi dipende in gran parte dalla risposta collettiva della sua popolazione. Ma il dialogo, l’unità, la comprensione reciproca, la riconciliazione, non sono più sentimenti scontati. L’America ha paura. L’America sta lottando ancora una volta con i suoi demoni e la vittoria è ancora incerta. Forse dovrebbe ricordarsi il detto di Roosveelt secondo cui l’unica cosa di cui aver paura è la paura stessa.

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