L'Editoriale
Sabato 02 Marzo 2024
L’aiuto Ue all’Ucraina, i paletti al conflitto
LA GUERRA. In visita a Washington nel suo giro delle capitali del G7 in preparazione del vertice che si tiene quest’anno in Italia nelle Puglie, a Giorgia Meloni preme essenzialmente confermare una cosa: l’Italia è a fianco dell’Ucraina e degli alleati Nato.
Un’affermazione di principio per togliere i dubbi che possono sorgere tra i partner. È in Italia che si annidano i maggiori oppositori alla guerra e quindi la ritrosia a fornire aiuti bellici all’Ucraina. Zelensky, il presidente ucraino, non ha mancato recentemente di farlo notare. Da qui i timori del Capo di governo italiano di far risorgere nelle menti degli alleati il fantasma dell’Italia ballerina. Ma quel che in Italia appare alla luce del sole ed ha espressioni politiche chiare ed evidenti, anche nel Parlamento nazionale, in Europa si manifesta in forma più criptica e per certi versi contraddittoria.
Prendiamo la Francia. Emmanuel Macron nell’anniversario dell’invasione su larga scala russa all’Ucraina, a due anni dal 24 febbraio 2022, non va a Kiev dove Meloni, presidente di turno del G7, è in visita con Ursula von der Leyen, il primo ministro belga, presidente di turno dell’Ue, e il capo del governo canadese Justin Trudeau. Non solo, ma poi si nega anche alla riunione in videoconferenza che deve sancire la vicinanza dei sette grandi all’Ucraina. Motivo ufficiale le contestazioni degli agricoltori poi sfociate in tafferugli. Il dubbio è che l’iniziativa di Meloni tolga i riflettori sul vertice indetto dal presidente francese per il giorno dopo a Parigi. Ed è proprio in questa occasione che Macron fa balenare l’idea di un possibile invio di soldati occidentali in Ucraina. Una sortita che fa rizzare i capelli ai governi alleati anche perché il contributo militare della Francia a Kiev è addirittura inferiore a quello italiano, 640 milioni di euro. Anche i numeri parlano. L’Italia è a quota 670 milioni di euro ai quali vanno aggiunte partite militari che il governo di Roma considera riservate.
Chi ha un minimo di conoscenza storica sa che nell’imprevedibilità delle vicende storiche solo una cosa è certa: la Russia non si invade. I tedeschi lo sanno bene ed è proprio su questo tema che la Germania si smarca. Un Cancelliere considerato perdente e, fino a ieri, reticente di colpo diventa il faro verso il quale guarda il suo popolo. Ha solo detto che di invio di soldati occidentali sul fronte russo-ucraino non se ne parla. Anche il governo italiano ha fatto sapere la sua avversione alla balzana idea francese. L’asse franco tedesco però salta ed è uno degli effetti del conflitto ucraino.
Olaf Scholz ha interpretato il sentire europeo: le opinioni pubbliche non vogliono l’allargamento della guerra. La Germania ha un Pil molto più grande di quello francese ed ha fornito armi e aiuti per un valore dieci volte superiore. Non ha ceduto i Taurus perché i missili aria-terra di produzione tedesca hanno una portata di 500 km e quindi in grado di violare la sovranità territoriale della Federazione russa. Il Cancelliere non parla mai di sconfitta dell’invasore russo ma «di sostegno all’Ucraina, sinché sarà necessario». Frase sibillina che lascia aperte tutte le porte. Conosce la suscettibilità dei russi in tema di orgoglio militare, se anche si dovesse arrivare alla cessazione delle ostilità con il ritiro delle truppe russe sino alla frontiera originaria mai sarebbe pronunciata la parola «sconfitta».
Le parole hanno peso e, in questo caso, atomico. Il nazionalismo francese non si concilia con il buon senso. Dal caos che sembra regnare nell’Ue inizia ad emergere un comune sentire non condiviso da tutte le cancellerie ma che sembra destinato ad essere la stella polare della futura difesa europea: sì alle armi, ma con un solo fine: non allargare il conflitto.
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