L’agenda economica per contare in Europa

MONDO. A sette giorni dal voto per il Parlamento europeo, le Considerazioni finali del Governatore Fabio Panetta potrebbero essere lette – magari con un eccesso di sintesi – come il manifesto di un europeismo realista e radicato nell’interesse nazionale.

Il numero uno di Banca d’Italia ha chiuso infatti il suo intervento annuale evocando una agenda di politica economica ormai «chiara» che «va realizzata per tornare a crescere e per contare in Europa, e con l’Europa contare nel mondo». L’Unione europea, dunque, vista non come un espediente ortopedico per raddrizzare il legno storto che è l’Italia, né come un nemico arcigno da scrollarsi di dosso quanto prima, ma piuttosto come un progetto migliorabile, anche nel nostro interesse: «L’Italia ha concorso a fondare l’Ue – ha notato Panetta con le sue parole conclusive – ora può e deve concorrere al suo progresso. È con la forza di questa prospettiva che dobbiamo guardare con fiducia al futuro».

L’«agenda Panetta» prende le mosse da almeno due dati di fatto che – per quanto non piacevoli da ricordare – dovremmo costantemente tenere a mente. Il primo è il «calo del peso dell’Europa a livello internazionale»: «La popolazione europea rappresenta oggi solo il 5,7% di quella mondiale. Negli ultimi due decenni il peso dell’Ue sul Pil globale è sceso dal 26 al 18%, mentre quello degli Stati Uniti è rimasto pressoché invariato, al 26, e quello della Cina è quadruplicato, al 17». Il secondo dato riguarda l’economia italiana che «è quella con la minore crescita del prodotto per abitante nell’ultimo quarto di secolo» nell’area euro. Due dati e un’unica verità scomoda, potremmo sintetizzare, visto che il calo dell’influenza europea a livello globale «riflette soprattutto l’insoddisfacente dinamica della produttività, che nel periodo ha accumulato un ritardo di 20 punti percentuali rispetto agli Stati Uniti»; e una dinamica sovrapponibile si registra in Italia dove «la produttività del lavoro è rimasta ferma».

Se questa è la diagnosi, quali sono – per limitarci al piano italiano – le priorità su cui intervenire per invertire la china? Panetta inizia dal tema dei salari, da affrontare andando alla radice del problema, visto che la loro evoluzione «ha riflesso il ristagno della produttività: i redditi orari dei lavoratori dipendenti sono oggi inferiori di un quarto a quelli di Francia e Germania. In termini pro capite, il reddito reale disponibile delle famiglie è fermo al 2000». E tutto questo nonostante, tra tante ombre, non manchino le luci: dopo la pandemia, per esempio, l’Italia è cresciuta più delle altre economie europee; inoltre, nell’ultimo decennio, «sono migliorate la redditività e la posizione patrimoniale delle imprese»; addirittura, a dispetto di tanti cliché, «è cresciuto il peso delle aziende più grandi, che possono cogliere meglio i benefici della tecnologia e dell’internazionalizzazione». Produttività che va rilanciata con maggiori investimenti, specie nell’innovazione tecnologica, e con una migliore qualità dell’azione pubblica (il Pnrr può aiutare, e molto, lascia intendere il Governatore).

Il «calo demografico» è la seconda urgenza citata dal Governatore. «Secondo l’Istat, da qui al 2040 il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità – ricorda – malgrado un afflusso netto dall’estero di 170.000 persone l’anno». Per controbilanciare gli effetti di questo andamento della popolazione, Panetta suggerisce di puntare sull’aumento della partecipazione al mercato del lavoro di giovani e donne, anche grazie a una diversa organizzazione del lavoro stesso e con politiche di incentivazione. E aggiunge: «È inoltre possibile che un sostegno all’occupazione derivi da un flusso di immigrati regolari superiore a quello ipotizzato dall’Istat. Occorrerà gestirlo, in coordinamento con gli altri Paesi europei, bilanciando le esigenze della produzione con gli equilibri sociali e rafforzando le misure di integrazione dei cittadini stranieri nel sistema di istruzione e nel mercato del lavoro». Aggredire problemi di entità simile, come la produttività e la natalità calanti, è reso ancora più complicato da quello che Panetta ha definito nel giro di poche righe prima «una zavorra» e poi «un fardello», cioè il debito pubblico che alla fine del 2023 ammontava al 137% del Pil. Vasto programma, insomma, ma probabilmente l’unico possibile per rafforzare l’Italia e la sua capacità di incidere in un’Europa certo perfettibile.

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