L'Editoriale
Giovedì 08 Settembre 2022
L’Africa dei poveri e della paura
Era impegnata in Africa da sessant’anni e considerava il Mozambico e il suo popolo come una seconda patria. Era già scampata a un’imboscata della guerriglia, in passato, ma non aveva ceduto il passo alla paura. La missione prima della sicurezza personale. È il ritratto, ovviamente sommario, di suor Maria De Coppi, 83 anni, la religiosa comboniana uccisa ieri a Chipene, nel Nord del Mozambico, quando i ribelli islamisti hanno assaltato la parrocchia. Salvi per miracolo i due sacerdoti, don Loris Vignandel e don Lorenzo Barro.
Abbiamo accennato quel breve ritratto perché in esso spesso si ritrova quello dei 22 missionari (13 sacerdoti, 1 religioso, 2 religiose e 6 laici) uccisi nel mondo (ma 11 solo in Africa) nel corso del 2021. E quello di tutti coloro che anche in questo 2022 hanno subito violenze feroci a causa della fede. Per esempio suor Suellen Tennyson, 83 anni, rapita in aprile (e più tardi liberata) in Burkina Faso da un gruppo di estremisti islamici che hanno anche vandalizzato la parrocchia di Yalgo. O le quattro suore (Johannes Nwodo, Christabel Echemazu, Liberata Mbamalu e Benita Agu) rapite da uomini armati e liberate nove giorni dopo nel Sud-Est della Nigeria, presso Obigwe, non lontano da dove, non molto tempo prima, erano stati sequestrati un sacerdote e un seminarista. Una sorte ben diversa, per restare alla Nigeria, da quella purtroppo toccata a padre John Mark Cheitnum, assassinato nello Stato di Kaduna dopo essere stato sequestrato con il confratello Donatus Cleopas, che è invece riuscito a fuggire. Mentre nello Stato di Benue, tra maggio e giugno, sono stati assassinati 68 cristiani di varie denominazioni.
C’è un legame tra tutti questi episodi? È chiaro che l’intolleranza religiosa gioca un ruolo importante, anzi decisivo. E sono evidenti i segnali di una persistente jihad che considera i cristiani come il primo bersaglio e in ogni caso un’occasione per estorcere denaro. Quando si parla di Africa e terrorismo islamista, però, occorre usare qualche cautela. Perché se il cristiano è una vittima che è facile inquadrare nei vecchi slogan del «crociato» e del «venduto alla cultura occidentale», allo stesso modo la «guerra santa» islamista è spesso usata come un paravento per cause assai più immediate e concrete. Prendiamo il Mozambico. Il Paese è ricco di gas, pietre preziose e metalli rari, ma di tanta abbondanza beneficiano soprattutto le grandi aziende straniere che hanno saputo stringere accordi con il Governo locale. Tante le sacche di povertà estrema, che sono diventate terreno fertile per la predicazione islamista arrivata da Nord, dal Corno d’Africa, tanto da far nascere tra i disperati mozambicani un movimento violento (tremila morti in pochi anni) simile a quello degli shaabab della Somalia. Sono più poveri e arrabbiati o più islamisti? Difficile distinguere.
È una storia che si ripete. Vale per la Nigeria, dove Boko Haram (che significa «la cultura occidentale è peccato»), gruppo terroristico cui si attribuiscono oltre 350 mila morti, ha compiuto stragi efferate ai danni dei cristiani, colpendo anche nei confinanti Ciad, Camerun e Niger. E vale, ovviamente con termini e manifestazioni a volte diversi, anche per il Niger, il Ciad, il Camerun e la Repubblica Democratica del Congo. Da un lato bisogna riconoscere che gli agenti dell’islamismo mostrano da molti anni una straordinaria abilità nell’individuare tutte le crepe che si aprono nel tessuto sociale di questa o quella nazione, per poi sfruttarle ai propri fini. L’islamismo armato di stampo qaedista si è insediato nell’Africa del Nord sulle macerie della terribile guerra civile algerina degli anni Novanta e da quel momento ha iniziato una marcia verso Sud che ha trasformato alcune aree dell’Africa subsahariana in vere roccaforti del terrore. Dall’altro, il tema è il solito: un continente ricco di risorse umane e naturali come l’Africa resta da un lato terra di rapina per regimi faziosi o, nel migliore dei casi, poco illuminati o deboli, e dall’altro terra di sfruttamento per l’industria e la finanza dell’Occidente. Una miscela che produce povertà e scontento e fornisce occasioni perfette a chi vuole fomentare il disordine e la guerra.
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