L'Editoriale / Bergamo Città
Mercoledì 10 Luglio 2019
L’aeroporto, il tempio
e la magia dell’Europa
Un tempio, anzi il Tempio, per la Dea. Ma che l’Atalanta pensi di giocare a San Siro in Champions League, tramontato il sogno di battezzare il Gewiss Stadium portandoci Leo Messi o chi per lui, non è solo una suggestione da mitologia classica. È – sarebbe, c’è ancora di mezzo il Milan – la risposta a una regola elementare dello spettacolo: ogni grande rappresentazione deve avere il palcoscenico più adeguato per prestigio e capienza.
E dato che quello espresso dell’Atalanta del Gasp è uscito dalla passata stagione con il riconoscimento unanime, di pubblico e critica, di calcio più bello d’Italia, diventa persino naturale pensare di presentarlo all’Europa infiocchettandolo nel contenitore più suggestivo che il calcio italiano possa proporre: San Siro, appunto, il Tempio del calcio.
Per Bergamo diventerebbe anche una sorta di nemesi delle infrastrutture, se proprio non vogliamo chiamarla vendetta. Ma sì, perché nella logica dei voli internazionali, ormai da anni turisti e uomini d’affari atterrano a Orio al Serio convinti di essere a Milano e vengono immediatamente dirottati verso il capoluogo prima che si rendano conto di essere a Bergamo che magari un’occhiatina la meriterebbe pure. Beh, che ci sarebbe di male se nel prossimo autunno per tre partite (ma siamo poi così sicuri che debbano essere soltanto tre?) la gente arrivasse a San Siro convinta di essere a Bergamo? Insomma, Milano Orio come scalo d’approdo per raggiungere Bergamo San Siro, la casa dell’Atalanta europea.
Che detta così sembra anche un po’ una situazione da commedia degli equivoci, con l’Atalanta nei panni del Carlo Verdone di Borotalco – film cult degli anni Ottanta – che per far colpo sulla ragazza del cuore si intrufola (assumendone anche l’identità) nella casa lasciata libera da un sedicente architetto-avventuriero finito nei guai. Un po’ come il Milan di questi tempi, sedicente grande finita dietro in campionato ed esclusa dall’Europa, lasciando così (teoricamente) libera la propria casa per le notti magiche di Champions.
Sergio, il personaggio interpretato da Verdone nel film, conquisterà la ragazza tornando se stesso, che è poi quello che dovrà fare l’Atalanta a prescindere dal palcoscenico sul quale si esibirà.
Perché giocare la Champions a San Siro può anche diventare un boomerang, con testa e muscoli bloccati da quello che in Spagna chiamano il «miedo escenico», la paura della grande ribalta e del grande evento. Una situazione da mettere in preventivo, ma con una certezza di fondo: che duri 10 minuti, un tempo o una partita, sicuramente anche l’Atalanta di Champions finirà per superarla. Perché se è vero che, come dice il presidente Antonio Percassi, affrontare questa esperienza è «un po’ come andare a scuola», è altrettanto vero che questa Atalanta si è dimostrata negli ultimi anni studentessa dalle capacità di apprendimento rapidissime.
E allora ecco che San Siro diventerebbe in poco tempo uno stimolo in più, oltre che una grande vetrina e, perché no, un’opportunità per incassi inimmaginabili nella pur simpatica e ospitale Reggio Emilia. Sia per la sua vicinanza a Bergamo, sia per la sua capienza. Perché poi, anche su questo non c’è dubbio, l’Atalanta a San Siro non lascerebbe grandi vuoti, capace com’è – oltre che di mobilitare i propri tifosi – di sviluppare una capacità di attrazione verso le masse neutrali che in questo momento nessun’altra squadra italiana può vantare.
Ne è finito vittima anche il sindaco di Milano, Beppe Sala, che ha parlato di operazione «giusta e simpatica» a ha promesso che «se l’Atalanta gioca a San Siro andrò a vederla».
Se, appunto. Ora la palla è tra i piedi del Milan e dei suoi tifosi.
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