L’accordo s’ha da fare perché ora conviene

MONDO. E così, a meno di un ennesimo colpo di scena negativo, Israele e Hamas sono arrivati all’accordo «tregua per ostaggi» a cui stavano lavorando da mesi con l’appoggio di Paesi mediatori che si sono alternati, fermi restando gli Stati Uniti e il Qatar.

Ovviamente l’ipotesi di accordo è più ampia e complessa, prevede tre fasi distinte anche nei tempi: la prima con il rilascio di una parte degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, la liberazione dei militanti palestinesi detenuti in Israele (50 per ogni ostaggio), il ritiro delle truppe israeliane dal Nord di Gaza e l’afflusso di aiuti umanitari nella Striscia; la seconda con la liberazione dei restanti ostaggi e il ritiro completo di Israele da Gaza; la terza con l’avvio di un piano di ricostruzione di Gaza sotto supervisione internazionale.

Sono, lo ribadiamo, i termini di cui si discuteva da tempo e sotto il profilo «tecnico» non ci sono particolari novità. Poi, però, subentrano altre considerazioni. La fretta con cui Joe Biden ha voluto annunciare l’accordo dimostra che il presidente Usa ha voluto chiudere il suo mandato con una notizia positiva, quasi intestandosi la fine delle ostilità dopo aver inondato Israele di armi e aver bloccato, in sede di Consiglio di sicurezza Onu, tutte le risoluzioni che andavano verso un cessate il fuoco. In altre parole, Biden ha dato a Benjamin Netanyahu gli strumenti e il tempo necessari per condurre la sua campagna contro i palestinesi, con la strage di civili (almeno 70mila da ottobre 2023 a giugno 2024 secondo la rivista Lancet, almeno 120mila secondo il gruppo di 99 medici e scienziati Usa che hanno lavorato nella Striscia) che ben conosciamo. E infine ha cercato di intestarsi la pace.

La fretta con cui Joe Biden ha voluto annunciare l’accordo dimostra che il presidente Usa ha voluto chiudere il suo mandato con una notizia positiva, quasi intestandosi la fine delle ostilità dopo aver inondato Israele di armi e aver bloccato, in sede di Consiglio di sicurezza Onu, tutte le risoluzioni che andavano verso un cessate il fuoco

Anche così, però, i portavoce di Biden hanno dovuto riconoscere di aver agito in sintonia con il team dell’entrante Donald Trump, il che spiega la presenza di Steve Witkoff, suo inviato speciale per il Medio Oriente, al tavolo finale delle trattative di Doha (Qatar). E qui si apre un nuovo risvolto. L’estrema destra israeliana, anche quella che pure siede nel governo Netanyahu, ha protestato gridando a gran voce che era stato Trump a imporre un accordo che personaggi come Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich considerano un errore, se non una sconfitta. Tutto questo potrà aprire crepe inattese nell’intesa che tutti considerano «naturale», inevitabile tra Netanyahu e Trump?

Netanyahu è troppo furbo per rompere con Trump, l’uomo che al tramonto della sua prima presidenza escogitò quegli Accordi di Abramo destinati a pacificare il mondo arabo con Israele e quel Grande Piano per il Medio Oriente che prevedeva uno Stato palestinese, concepito però come una riserva indiana alla mercé di Israele

Difficile che ciò accada. Al di là del fatto che le proteste della destra dimostrano che, nello Stato ebraico, forze non secondarie hanno accarezzato il sogno di realizzare, da Gaza alla Cisgiordania, il sogno del «grande Israele», Netanyahu è troppo furbo per rompere con Trump, l’uomo che al tramonto della sua prima presidenza escogitò quegli Accordi di Abramo destinati a pacificare il mondo arabo con Israele e quel Grande Piano per il Medio Oriente che prevedeva uno Stato palestinese, concepito però come una riserva indiana alla mercé di Israele.

In più, sia Netanyahu sia Trump hanno buoni occhi per vedere quale sia oggi la situazione in Medio Oriente. Hezbollah in Libano e Assad in Siria sono crollati e l’Iran ha dovuto dismettere gran parte delle sue ambizioni. Hamas non è stato estirpato ma di certo ha perso la propria capacità militare. Al Fatah e Abu Mazen, in Cisgiordania, si sono ridotti a fare il lavoro di Israele nelle aree ribelli, nella speranza di vedersi affidare il controllo di Gaza quando l’accordo sarà implementato. E tutti prevedono che, se la tregua diventerà pace e poi piano di ricostruzione di Gaza, cadranno anche le remore dell’Arabia Saudita a sottoscrivere gli Accordi di Abramo.

L’analisi del futuro mondiale

Con la Russia in difficoltà, oggi le sorti del Medio Oriente sono di fatto affidate a Turchia (protagonista del ribaltone siriano), Israele e Usa. Erdogan, Netanyahu e Trump, tre negoziatori nati. L’ipotesi di una spartizione è così peregrina? Un’ultima considerazione. Dopo le stragi di Hamas del 7 ottobre 2023, Netanyahu sembrava, ed era, politicamente morto. Ha resistito, contro tutto e contro tutti, e alla fine ha avuto ragione. Oggi il vincitore è lui, in patria e fuori. Ha vinto bombardando Siria, Palestina, Libano, Iran e Yemen e facendo strage di palestinesi e libanesi. Non ci potrebbe essere più indicativo segno dei tempi che stiamo vivendo.

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