La vita
è un bene
indisponibile
a chiunque

Non è la legge sull’eutanasia. È bene dirlo subito per sgombrare il campo da equivoci che spostano il gioco a favore di chi vuole praticamente il referendum sull’eutanasia attiva. La bozza di legge, in discussione da lunedì alla Camera, che ha per titolo «Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita» si occupa di suicidio assistito in presenza di situazioni sanitarie particolarissime. Il testo è il frutto di una mediazione che recepisce le indicazioni della Corte Costituzionale sui criteri circa quelle particolarissime situazioni. I radicali hanno già dichiarato la loro insoddisfazione, invocando invece – parole di Marco Cappato – «una legge chiara sull’eutanasia».

Il nodo è tutto qui. Una legge sul fine vita allontana il rischio di un referendum che farebbe precipitare l’Italia nel baratro dell’eutanasia? Probabilmente sì. La Consulta ancora non si è espressa e il via libera della Cassazione sul milione duecento mila firme raccolte dall’Associazione Luca Coscioni è solo un atto tecnico che non entra nel merito del quesito.

Tuttavia va ricordato che la Corte nella sua sentenza ha chiarito che non esiste un diritto costituzionalmente garantito a morire, né un diritto all’autodeterminazione individuale sulla vita, che resta un bene indisponibile a chiunque. L’autodeterminazione deve fare i conti con l’art.2 della Costituzione sui diritti inviolabili dell’uomo a cui appartiene la vita. Ciò significa che lo Stato deve tutelare la vita di ogni individuo e non il diritto di ogni individuo ad ottenere dallo Stato un aiuto a morire. Altro è invece la non punibilità di quell’aiuto nelle condizioni previste dalla legge.

Di una legge sul fine vita si discute da tempo e alla Camera non è mai stato mai trovato un accordo su un testo. Ora c’è una bozza migliore di quelle precedenti. Utilizzando la congiunzione «e» al posto della disgiunzione «o» si restringe con saggezza il campo di applicazione. Insomma si può procedere se è presente patologia irreversibile «e» prognosi infausta e se vi sono sofferenze fisiche «e» psichiche.

Prima era scritto o l’una o l’altra. Su questo sono d’accordo tutti, centrodestra e centrosinistra. Sulle cure palliative invece l’accordo non c’è. La Corte nella sua sentenza le ritiene «pre-requisito», cioè devono essere presenti. Per la bozza di legge è sufficiente invece che il paziente sia informato del suo diritto ad accedervi senza necessariamente esservi coinvolto. E qui le maglie si allargano. Così come non è ben chiaro cosa si intende per trattamenti di sostegno vitale «sanitari», la cui presenza è un altro pre-requisito per chiedere il suicidio assistito. Vanno precisati con esattezza altrimenti si corre il rischio che un diabetico costretto all’insulina quotidiana o un malato di rene in dialisi possano chiedere la morte.

La bozza prevede anche l’obiezione di coscienza da parte dei medici che nelle prime stesure e nella sentenza della Corte era esclusa poiché ritenuta non necessaria. È un altro punto delicato. Se non c’è obbligo da parte dei medici si apre un contenzioso infinito nei Tribunali. Se c’è obbligo con obiezione di coscienza, come avviene per la 194 sull’aborto, il Sistema sanitario deve garantire il servizio con tutte le garanzie per i sanitari e per il paziente che richiede il suicidio assistito. Per il centrosinistra la bozza va bene, per il centrodestra va meno bene. Ma per migliorarla occorre l’impegno di tutti e soprattutto occorre mettere da parte, per una volta, militanze pur legittime, che portano ad arroccamenti ideologici con il risultato di spianare la strada ad un referendum sull’eutanasia il cui risultato purtroppo sembra già scritto, se ammesso dalla Consulta.

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