La verifica di governo
Il Pd vuole lo scettro

Il governo, rafforzato dal voto emiliano, prova a darsi un programma di cose da fare da adesso a tempo indeterminato. È soprattutto Giuseppe Conte a spingere per la cosiddetta «verifica» che si è avviata ieri sera a Palazzo Chigi. «Verifica» che è un termine vecchissimo, quasi un fossile, risale alla Prima Repubblica e va sempre bene quando bisogna risolvere problemi tra i partiti o sminare il campo dell’alleanza.

Perché è vero che il governo Conte si è rafforzato e che le spinte per le elezioni anticipate si sono definitivamente affievolite, se non altro perché dopo il referendum di marzo sul taglio dei parlamentari nella prossima legislatura ci saranno 345 poltrone in meno. Però è anche vero che il voto emiliano ha creato non poco nervosismo tra gli alleati. Già, perché il Pd, che ha mantenuto la presidenza dell’Emilia Romagna e rivendica di aver respinto la «spallata» di Salvini senza l’aiuto dell’alleato, si sente e si muove da vincitore (pur avendo perso dieci punti nei voti di lista) e quindi adesso passa alla cassa e rivendica più spazio nel governo, sia in termini di decisioni che di potere.

I grillini, cui le urne da un anno e mezzo riservano solo risultati disastrosi - praticamente un avviso di sparizione - si fanno forza del numero dei parlamentari che furono eletti due anni fa e che nonostante tutto conferiscono ancora al M5S il ruolo di partito di maggioranza relativa. Per questa ragione non hanno alcuna intenzione di cedere alle pressanti richieste del Pd. Potrebbero anzi irrigidirsi, pensando che se tengono duro su alcune questioni «identitarie», recuperano qualche voto in uscita. Esempio: le concessioni autostradali. I grillini insistono perché venga stracciato il contratto con la Società Autostrade; il Pd invece ha già fatto capire che al massimo la società pagherà una maxi multa ma manterrà la concessione. Ancora: il reggente del Movimento Vito Crimi (che si vede e si pensa come un vero leader e non come ciò che è, appena un facente funzione) potrebbe dire al ministro della Giustizia Bonafede di non cedere di un millimetro sulla riforma della prescrizione che il Pd contesta e vuole modificare.

La verifica serve essenzialmente a questo: a stabilire il nuovo perimetro dei partiti. E serve, anche se nessuno lo dice, a decidere come dividersi le centinaia di nomine che vanno in scadenza, comprese le grandi aziende pubbliche come Eni, Enel, Finmeccanica, Rai, ecc.

Poi è chiaro che sul tavolo della «verifica» ognuno pianta la sua bandierina elettorale: a questo servono le riunioni come quella di ieri sera. Il Pd vuole rivedere reddito di cittadinanza, quota 100 e decreti Salvini; Roberto Speranza di LeU vorrebbe cambiare il Job’s act renziano, il M5S evoca di nuovo una legge sul conflitto di interessi; Matteo Renzi ripropone il suo maxi-piano di investimenti pubblici. Ne uscirà quello che Fanfani, tanti anni fa, avrebbe chiamato «un libro dei sogni». Ma a Conte questo va bene: più si mette legna in caldaia, più la locomotiva va avanti, più il suo asse con Zingaretti si rafforza e lui può sognare un futuro da leader del centrosinistra o addirittura da successore di Mattarella. E pazienza per i grillini. I quali ormai vanno avanti senza un leader, senza una linea e nel disorientamento generale: gli Stati generali - che dovevano essere il momento congressuale del rilancio del Movimento - sono stati rinviati perché la lotta delle correnti per chi comanderà nel dopo Di Maio è ancora in alto mare e non ha ancora prodotto un vincitore. E allora, come dice il ministro Spadafora, l’ex dimaiano oggi molto vicino al Pd, «il primo obiettivo è continuare ad esistere».

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