La vendita di «Ita» per dire la propria

ITALIA. L’ultimo atto di Margrethe Vestager, commissaria danese Ue alla Concorrenza è stato il via libera all’accordo Ita-Lufthansa. Dal 2027 Italia trasporto aereo diventerà a tutti gli effetti una compagnia di proprietà e di gestione della compagnia tedesca.

I grandi Paesi europei tengono ad avere una compagnia di bandiera, gli spagnoli con Iberia si sono fusi con British-Airways e sotto la sigla Iag (International airlines group) operano con i rispettivi marchi e fanno base sui rispettivi aeroporti di Heathrow a Londra e Barajas a Madrid. Lo stesso vale per altre compagnie del tipo AirFrance-con l’olandese Klm. Nell’area di influenza di Air France è entrata anche la scandinava Sas.

Lufthansa invece preferisce entrare direttamente nel capitale delle compagnie acquistate. Ne garantisce l’identità formale e quindi il logo ma vuole la proprietà e la gestione per sé. È avvenuto per Austrian airlines, per Swiss international airlines per Brussels airlines. Adesso il grande salto nell’area geopolitica mediterranea. Lo fa da Roma attraverso il vettore italiano in una prospettiva di accesso alle rotte dell’Africa e del Sudamerica oltre che dell’Asia, dove peraltro Lufthansa è già presente. Fiumicino è per la compagnia tedesca una pista di lancio che favorisce il controllo di zone di grande sviluppo come i Paesi della sponda opposta del Mediterraneo. A Carsten Spohr, amministratore delegato, è quindi riuscito quello che ai vari governi tedeschi non riesce quasi mai: diventare protagonista dello sviluppo europeo nell’ottica di sviluppo dei partner. Invece di arroccarsi nella difesa di un’austerità, che irrita perché proiezione di una presunta superiorità economica e morale, Lufthansa si è sobbarcata tre anni di estenuanti trattative con governi italiani che costantemente cambiavano ed ha tenuto il punto: per salvare Ita noi dobbiamo guidare. Che è poi quello che in cuor loro desiderano gli italiani. Meglio un’Ita tedesca che l’azzeramento dell’Italia dai cieli. Chi non rispetta le capacità manageriali e industriali di una compagnia composta per il 64% da azionisti tedeschi e che è nota per la gestione avveduta del difficile business dei voli internazionali?

Lufthansa invece preferisce entrare direttamente nel capitale delle compagnie acquistate. Ne garantisce l’identità formale e quindi il logo ma vuole la proprietà e la gestione per sé

La storia di Alitalia

Nella memoria storica italiana è rimasto ancora il fallimento dell’integrazione di Alitalia con Klm. Gli olandesi, pur di uscire dall’accordo, nel 2000 di fronte all’inaffidabilità dei propri contraenti romani pagarono una penale di 250 milioni di euro. E questo nonostante l’amministratore delegato di allora, Domenico Cempella, spiegasse come una fusione alla pari con una compagnia molto più grande fosse un’occasione unica. Gli italiani offrivano il grande mercato del Nord Italia e gli olandesi gli aerei e le rotte del Nord Europa e transatlantiche. Al nostro governo una rinuncia a Malpensa come hub di riferimento risultava però più facile che dire no alla lobby sindacale e ai privilegi costituiti di Fiumicino.

Con questi precedenti l’accordo di questi giorni segna la fine di un incubo. Dover ripianare le costanti perdite della compagnia di bandiera è insostenibile per un Paese ad alto debito e bassa crescita. Ed è anche un insegnamento su come operare a livello internazionale. Agli italiani non riesce far sistema, hanno altre qualità. Capire che l’Europa è la valorizzazione delle vocazioni nazionali è il primo passo verso l’Unione. Per questo ci vuole umiltà: certamente riconoscere i propri limiti è necessario, ma altrettanto decisivo è non abusare della debolezza altrui.

Lufthansa ha guardato al sodo: valorizzare il peso strategico dell’intesa in un’ottica di collaborazione. All’Italia non resta che imparare. Superare gli interessi particolari, la frammentazione delle imprese e unire le forze. L’unico modo per diventare grandi e poter dire la propria in Europa.

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