La tregua olimpica, se il Papa non cede

MONDO. Lo ha fatto due volte in pochi giorni. Ma la tregua olimpica invocata dal Papa anche questa volta sarà una chimera e Parigi 2024 non porterà alcun sollievo alle popolazioni massacrate nelle guerre.

Giochi di guerra insomma e non giochi di pace, come invece vorrebbe Jorge Mario Bergoglio e insieme a lui tutti i popoli martoriati dai 60 conflitti in corso tra conosciuti e dimenticati. Il nuovo appello è di ieri all’Angelus, il penultimo pochi giorni fa in un Messaggio all’arcivescovo di Parigi Laurent Ulrich. Nessuno insomma si fa illusioni, perché mai nell’età moderna le Olimpiadi non hanno fermato le guerre, anzi sono state usate come altrettante armi, seppur non detonanti, per alimentare conflitti con la retorica nazionalistica del ruolo dello sport, come accadde a Berlino, le Olimpiadi «red carpet» della propaganda hitleriana. Francesco nel suo Messaggio le aveva descritte come una grande opportunità per «superare le differenze e le opposizioni» e un’occasione «per abbattere i pregiudizi, per promuovere la stima dove c’è disprezzo e diffidenza e l’amicizia dove c’è odio».

Grandi auspici e grandi aspettative, perché questo dovrebbe essere il ruolo dello sport, che unisce popoli, apre confini, sbaraglia barriere, include diversità e addirittura potrebbe indicare vie nuove alla diplomazia riluttante. Ma non è così e forse non lo sarà mai. L’arcivescovo di Parigi non si fa illusioni, ma lascia aperta una porticina alla speranza: «Purtroppo le guerre in corso non cessano durante i Giochi, ma il desiderio di pace si diffonde grazie agli incontri che essi rendono possibili in questi eventi sportivi». La speranza non va mai spenta in attesa della prossima Olimpiade. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella un mese fa, consegnando la bandiera italiana agli atleti in partenza per Parigi, con un velo di tristezza ha detto sulla tregua: «Non so, si scontra con l’ottusità di chi scatena guerre». Eppure ogni volta torniamo a d invocare la tregua olimpica, almeno come sollievo temporaneo. Per fermare definitivamente le guerre ci vuole ben altro. Ma una tregua olimpica potrebbe costringere a pensare, imbarazzare governi guerrieri, potrebbe fare pressioni su mediazioni reali e potrebbe anche indurre a non spararsi subito dopo. Le Olimpiadi nell’antica Grecia mettevano d’accordo anche i popoli più ostili che allora erano le città di una piccola parte di mondo perennemente in lotta. Le ostilità per qualche giorno si fermavano.

Poi il barone De Coubertin ha ricucito l’ordito greco e lo ha presentato come una saggia occasione per scuotersi e ritenere che un altro mondo è possibile. Non è andata affatto bene e per tre volte la guerra ha sbaragliato l’Olimpiade. Berlino 1916, Tokyo 1940 e Londra 1944 non sono state disputate, cannoneggiate dal primo e dal secondo conflitto mondiale. Tuttavia nell’albo d’oro della storia dei Giochi quelle date rimangono. Retorica dell’olimpismo o monito per tutti? Francesco nel suo Messaggio spiega che quei cinque anelli intrecciati rappresentano «lo spirito di fratellanza», metodo per apprezzarsi e stimarsi.

L’Onu lo ripete dal 1993, Risoluzione 48/11 sulla tregua in piena guerra in Bosnia, approvata per acclamazione, come le seguenti da allora. Oggi tutto è più complicato. La Risoluzione dell’Onu per la tregua olimpica di Parigi per la prima volta non è stata approvata per acclamazione, ma con il voto: 118 a favore, due astenuti. E 77 Paesi non hanno partecipato. Agli atleti ucraini hanno già consigliato di evitare contatti con i pochi russi, che gareggeranno senza bandiera, stratagemma formale e sfrontato.

Agli atleti israeliani l’impassibile doppio standard diplomatico-sportivo non nega la bandiera nonostante le bombe quotidiane sulla Striscia di Gaza. I palestinesi ci saranno, ma senza bandiera, perché loro uno Stato non ce l’hanno mai avuto. La fratellanza è già inciampata nei cinque cerchi.

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