La tragedia e gli insulti: la lezione di un padre

Per la prima volta nella sua storia, nell’ultimo trimestre del 2021 Facebook ha perso utenti: un milione in meno, bruciando 200 miliardi di dollari in Borsa. Eppure lo scorso anno fino a settembre il numero degli utilizzatori attivi giornalieri aveva toccato il record di 1,930 miliardi di account nel mondo. Ad abbandonare il social più famoso sono soprattutto i giovani che scelgono piattaforme più recenti, nelle quali si fa ricorso a fotografie e filmati e molto limitatamente alla parola.

In Italia il 53% degli utenti ha più di 35 anni. Fra chi abbandona Facebook, una quota è composta da persone che non accettano più la deriva dei commenti dei cossiddetti «hater», gli odiatori, ma anche lo sdoganamento di un linguaggio sgarbato, che offende l’interlocutore e lo etichetta senza conoscerlo. È il segno di questi tempi, maleducati e pieni di superego, nei quali si confondono le opinioni personali con la verità.

L’altro giorno è morto per malattia Niccolò Ghedini, avvocato di Silvio Berlusconi e già parlamentare di Forza Italia. Tra i commenti alla notizia circolata anche in Facebook c’è chi ha scritto parole vergognose, incapace di distinguere il giudizio su un avversario politico dal necessario cordoglio per una vita che si è spenta. L’odio anche in punto di morte.Sotto il tiro degli spietati da ring che agiscono indisturbati nel social più importante è finito pure il padre di Giulia e Alessia, le sorelle di 17 e 15 anni uccise da un treno mentre rientravano a casa nel Bolognese da Riccione, dopo una notte in discoteca. La colpa imputata al papà è di aver lasciato le figlie in giro a quell’ora e di non essere andato a prenderle in auto. Non sapevano, gli inquisitori, che la notte della tragedia era la prima nella quale l’uomo, in seguito a un problema, non era riuscito a raggiungere le sue ragazze in Riviera per rincasare insieme, come invece aveva sempre fatto, talvolta dormendo a Riccione perché era troppo stanco per guidare. Nell’omelia del funerale delle due giovani, legate come amiche, don Giancarlo Leonardi ha criticato duramente «il vociare che abbiamo sentito. Tutti sembrano avere qualcosa da dire, tutti maestri. Noi vediamo una famiglia che vive un dolore inimmaginabile e ci fa paura il rischio di scivolare nel vicolo cieco del vuoto, la banalizzazione del male, il cinismo, la disperazione».

La distanza tra la grande umanità del papà delle vittime e la bassezza dei suoi detrattori è in una lettera aperta scritta proprio dal padre: «Vivo la sofferenza confortato moralmente e spiritualmente dalle tante persone che quotidianamente hanno inondato me e la mia casa di un’umanità e dolcezza che va oltre misura e immaginazione. Vivo la sofferenza per l’immane tragedia che ha colpito la mia famiglia e la consapevolezza del nuovo inizio che mi attende, nel fervido desiderio di provare a trasformare l’ingiusto in bene assoluto. È per questa ragione che non riesco a nutrire rancore, rammarico o amarezza dall’inconsulto vociare continuo e costante che si è scatenato all’indomani della tragedia. Ringrazio tutte le persone che hanno espresso un pensiero per me e la mia famiglia. Tutti indistintamente. Anche coloro che hanno espresso giudizi severi verso la mia persona. Sono convinto che ognuno di loro possa trarre insegnamento per la vita che verrà. Vorrei che da questa immensa perdita si possano trarre nuove energie per plasmarla in amore puro. Affinché da questo vuoto, da questa banalizzazione del male, dal cinismo della disperazione, possa nascere e crescere rigoglioso l’amore verso il prossimo. Uno spirito nuovo che possa infondere nella comunità speranza e fiducia». Grandi parole di cuore che zittiscono piccole parole vuote d’umanità.

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