La tragedia dell’Ucraina il rischio dell’oblio

Dieci missili contro le due università di Mykolaiv, non lontano da Odessa, e, il giorno prima, giovedì scorso, la strage di Vinnytsya, lontana centinaia di chilometri dalla linea del fronte nel Donbass, e mai toccata dal conflitto: dal mar Nero navi russe hanno sparato sulla città due missili Kalibir con testate da 500 chilogrammi di esplosivo che hanno terminato la loro corsa colpendo un parcheggio vicino al centro pubblico dei servizi, un palazzo di nove piani con molti uffici, una clinica privata e negozi. Il bilancio è orrendo: 26 morti tra i quali 3 bambini.

Si tratta di attacchi compiuti in pieno giorno e in zone affollate, che prendono di mira solo edifici civili. Non azioni militari ma di terrorismo, per incutere nella popolazione un senso di insicurezza generalizzato e indurla a scappare. Il 9 luglio l’esercito del Cremlino ha bombardando un condominio a Chasiv Yar, nel Donbass, provocando 48 vittime. Secondo Mosca l’edificio era stato trasformato in un insediamento militare ma tra chi vi ha perso la vita c’erano anche civili. In quasi cinque mesi dal suo inizio, l’invasione dell’Ucraina ha provocato almeno 35mila morti solo tra i civili (mille erano bambini), l’esercito russo ha distrutto, danneggiato o confiscato 45 milioni di metri quadrati di alloggi, 1.177 scuole, 656 ospedali e 256 imprese, secondo i dati emersi nel vertice di Lugano sulla ricostruzione. Il Pil del Paese invaso si è dimezzato e 16 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria. Una grande tragedia finita nell’oblio, se non per le ricadute delle sanzioni sui costi delle risorse energetiche. Un destino che prima o poi riguarda tutti i conflitti.

Ma Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, spiega bene perché questa eclissi informativa è rischiosa: «Molti fra noi occidentali sono stanchi di Ucraina, ma l’Ucraina non è stanca di noi. Da Kiev si lamenta il disincanto serpeggiante nelle nostre opinioni pubbliche, preannuncio di disimpegno dei decisori, ipersensibili agli umori degli elettori. Una comunicazione pubblica che per calmare le paure ha spesso finito per omettere dati di realtà, contribuisce all’effetto di straniamento prima, estraneazione poi. Qualcuno pensa di declassare a “varie ed eventuali” le tragedie che si stanno consumando a un paio d’ore di volo da casa (e a qualche minuto di missile?). Con il dramma ucraino e le sue possibili estensioni avremo a che fare almeno per una generazione. Non si cala il sipario su uno scontro fra pesi massimi in piena Europa quasi fosse dramma di stagione». Anche perché siamo parte in causa, armando gli aggrediti.

Allo stato attuale non si vedono le premesse per un negoziato salvifico. Si è dibattuto per mesi sulle responsabilità dell’Occidente nel conflitto, ma i testi dell’ideologia di Mosca che mira alla conquista dell’Ucraina continuano ad essere sottovalutati. Ha scritto di recente Timofei Sergueizev, politologo e giornalista russo ascoltato al Cremlino: «La denazificazione consiste in un insieme di misure nei confronti della massa nazista della popolazione che per ragioni tecniche non può essere direttamente perseguita per crimini di guerra; è necessario procedere a una pulizia totale: oltre ai massimi dirigenti è da considerare egualmente colpevole una parte importante delle masse popolari, responsabili di nazismo passivo, di collaborazione con il nazismo. La durata della denazificazione non può in alcun caso essere inferiore a una generazione. La denazificazione sarà inevitabilmente una de-ucrainizzazione. La denazificazione dell’Ucraina significa anche la sua inevitabile de-europeizzazione». Un testo da brividi messo in pratica nelle zone conquistate da Mosca: il 10 giugno nella parte dell’Oblast (regione) di Kharkiv occupata è stata annunciata l’entrata in vigore della legge marziale (in Russia non è applicata) che dà alle autorità il potere di imporre lavori forzati, il sequestro delle proprietà private e la coscrizione al lavoro per chi ha più di 14 anni. A Kherson il 12 luglio è stato pubblicato un invito alla delazione di persone anti-russe, in cambio di un premio in denaro. In tutte le aree occupate è entrato in vigore il rublo come moneta, il prefisso telefonico russo e nelle scuole non si insegna più l’ucraino.

Sarebbero invece 2mila i bambini che vivevano in orfanotrofi portati in Russia per darli in adozione. Ma tra loro ci sono anche orfani di guerra che hanno ancora parenti in Ucraina e che li stanno cercando. Affidare questi drammi all’oblio non contribuirà a risolverli.

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