La tensione Cina-Taiwan porta nubi di tempesta, addio larghe intese globali

Il commento Nubi tempestose sul Mar Cinese meridionale e orientale. Pechino ha scelto di mostrare i muscoli poche ore dopo la visita-lampo della speaker del Congresso Usa, Nancy Pelosi, a Taiwan, dando inizio ad imponenti esercitazioni davanti all’«isola ribelle». A questo punto sorgono delle domande. Dopo la tragedia ucraina, le recenti scaramucce in Kosovo e Nagorno-Karabakh, ci si deve preparare al peggio? Pechino potrebbe, a questo punto, sfruttare il momento in cui Washington è distratta in Europa per tentare il colpo di mano, ossia invadere Taiwan?

Primo. È evidente che quando si trovano a poca distanza tra loro forze così consistenti e armate fino ai denti il rischio potenziale di incidente è sempre elevato. Secondo. In caso di assalto a Taiwan Pechino dovrebbe mettere sulla bilancia un prezzo salatissimo da pagare in termini di perdite umane e di pesanti conseguenze economiche da fronteggiare. Russia docet! E, a breve, in autunno, al XX Congresso del Pc vi sono le elezioni in cui il presidente uscente Xi Jinping tenterà di ottenere un terzo mandato quinquennale, mai riuscito in precedenza ad altri.

Ma ulteriori elementi vanno anch’essi misurati in questo scenario. Dopo anni di crescite esponenziali le cose in Cina non è che vadano troppo bene. La lotta «zero tolleranza» contro il Covid, imposta dalla dirigenza dell’ex Impero celeste, ha prodotto danni enormi con la chiusura per mesi in casa di milioni di persone, ormai esasperate dai lockdown. Le ripercussioni sull’economia si fanno sentire: ad esempio, l’incremento del Pil nel secondo trimestre di quest’anno è solo lo 0,4% rispetto all’1% preventivato; a livello annuale siamo ad un deludente 4% rispetto al 5,5% previsto.

Tante compagnie occidentali stanno ridimensionando il loro impegno in Cina a favore di altre realtà limitrofe oggi più attraenti; il rischio di bolla immobiliare rimane elevato e la classe media inizia a mostrare difficoltà. All’imponderabile, tornando agli aspetti militari, non si possono mettere limiti. Certo è che vi è la speranza che questa tempesta passi in fretta, senza provocare troppi danni. Lunedì termineranno le esercitazioni di Pechino. Geostrategicamente parlando, Taiwan appartiene alla prima linea di isole, filo-occidentali, che fino ad oggi contiene la Cina verso la sua espansione negli oceani aperti. La sua caduta segnerebbe un evento epocale per l’intero Pacifico e spiega la ragione della recente nascita dell’alleanza Aukus (Australia, Regno Unito e Usa) - una specie di Nato regionale – con l’appoggio esterno di Paesi come Giappone e India.

Il lettore meno attento potrebbe ora pensare: «Ma a noi cosa interessa di eventi così lontani?». In un mondo così integrato le vecchie logiche localiste sono state superate dalla globalizzazione. Taiwan produce il 63% dei chip mondiali, necessari per qualsiasi apparecchio elettronico, e lo fa utilizzando materie prime importate dalla Cina. Questa è la ragione per cui gli Stati Uniti hanno d’urgenza investito importanti capitali per riportare in Patria industrie del settore. La tragica lezione del 2022, leggasi crisi del gas nel Vecchio continente, è che dei Paesi autocratici non bisogna fidarsi; i tempi delle larghe intese globali sono finiti; se si intende conservare libertà, democrazia e sicurezza bisogna mettere mano al portafoglio. Serve infatti intervenire con urgenza su questa turbo-globalizzazione, correggendola. Già l’abbiamo visto col Covid quando per settimane l’Europa aspettava le forniture di mascherine dalla Cina. Figuriamoci ora che in ballo c’è il predominio mondiale.

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