La tempesta infuria
Conte se la cava

Con l’epidemia di Coronavirus il governo e il suo presidente del Consiglio Conte sono alle prese con una delle più gravi emergenze nazionali di salute pubblica. È difficile fare paragoni con le sciagure naturali, perchè solo con quelle obiettivamente ci si può confrontare, ma non c’è dubbio che la graduale estensione del fenomeno che genera allarme e produce restrizioni della libertà individuale dalle regioni di maggior contagio a tutto il Paese, mette l’Esecutivo in una condizione di grave stress. Il fenomeno non è stato immediatamente percepito, salvo qualche eccezione, in tutto il suo potenziale pericolo, e all’inizio gli allarmi degli epidemiologi e dei governatori del Nord, a Roma sono stati considerati eccessivi.

A questa prima fase di prudenza, ne è succeduta un’altra che ha coinciso prima con la delimitazioni delle zone rosse in Lombardia e in Veneto e poi con la chiusura delle scuole e delle università in tutta Italia. In questo caso il governo, criticato in un primo momento per essere stato troppo cauto, è stato stigmatizzato per il suo allarmismo. Di seguito è arrivata la fase numero tre, quella attuale che estende enormemente l’«area 1», coincidente con buona parte del Nord Italia, l’«area 2», coinvolgendo l’intera Penisola.

I rischi che sono all’orizzonte riguardano soprattutto la tenuta del sistema sanitario nazionale, ora sostenuto nella durissima prova dal valore dei suoi operatori, e poi le conseguenze economiche che si preannunciano gravi. Il governo deve dunque muoversi lungo questo vastissima fronte e deve farlo con tempestività, dimostrando di essere all’altezza. Giuseppe Conte, come gli è capitato di fare anche in passato, si è assunto in prima persona la responsabilità politica della gestione della crisi. Essendo il presidente del Consiglio, è giusto che egli risponda dell’operato dell’intero Esecutivo, ma è sicuramente apprezzabile che lo affermi apertamente, mettendoci la faccia come usa dire oggi, senza nascondersi dietro i compiti altrui. Il coinvolgimento delle opposizioni, da parte di Palazzo Chigi, è voluto e cercato: da loro Conte e i suoi ministri si aspettano proposte concrete che peraltro sono arrivate. Le polemiche in tutti questi giorni si sono via via attenuate tanto da dare l’impressione di una sorta di sospensione della dialettica politica.

In una situazione difficilissima Conte riceve anche qualche apprezzamento non di poco conto, come quello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si congratula soprattutto per le ultime misure adottate, quelle più severe. C’è però un vero problema nell’azione del governo che dovrà in fretta essere risolto: la strategia comunicativa non è all’altezza delle necessità. Quando Mattarella, nel suo videomessaggio, auspicava decisioni «univoche» nel governo si riferiva certamente alla confusione creatasi con la decisione di chiusura delle scuole – anticipata da un ministro, smentita da un’altra ministra, confermata solo dopo ore di notizie contraddittorie.

Purtroppo due notti fa la scena si è ripetuta con la fuga di notizie sull’ultimo decreto il cui contenuto è stato diffuso quando era ancora in bozze e dunque suscettibile di cambiamento. Il rimpallo delle responsabilità – chi ha diffuso il testo provvisorio? Hanno fatto bene i giornali a diffonderlo? – non diminuisce il panico che la notizia così mal comunicata ha improvvisamente creato nell’opinione pubblica: le immagini della gente che nella notte va a prendere di corsa l’ultimo treno in partenza da Milano verso il Centro-Sud, sono più che eloquenti. In una società in cui la comunicazione è addirittura più importante dell’azione, il governo non può trovarsi in difficoltà proprio su questo fronte. Ma sembra che ormai anche il Presidente del Consiglio ne sia consapevole.

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