La strada multipolare per la pace e il dialogo

MONDO. «In pochi mesi si è dissipato il dividendo di pace che aveva permesso di destinare risorse allo sviluppo a scapito delle spese per armamenti. Ma lo scorso anno la spesa globale per le armi ha raggiunto 2.400 miliardi di dollari, con una crescita di circa il 7 per cento rispetto all’anno precedente».

Questa frase non è di un esponente di Pax Christi, di Greenpeace o di un’altra organizzazione umanitaria. L’amaro paradosso, basato sulle cifre fornite dal Sipri, l’istituto di analisi svedese voluto da Olof Palme, è stato pronunciato davanti all’Assemblea Generale dell’Onu dal Capo dello Stato Sergio Mattarella. Parole ferme ma non aggressive, e alla fine velleitarie, totalmente differenti da quelle di altri capi di Stato europei, come il francese Macron (fortemente criticate anche in patria perché prive di ogni efficacia, ad esempio dal giovane capo dell’opposizione Raphael Glucksmann).

L’industria delle armi è attualmente la più redditizia del mondo, i suoi listini azionari non conoscono cadute, la produttività è forsennata anche se ci stiamo avvicinando all’orlo del baratro. Il mercato bellico si basa sulle commesse di Stato, sottraendo risorse alla sanità, all’ambiente, all’istruzione, alla lotta alla fame. «Si tratta di risorse», spiega Mattarella al Palazzo di vetro, «che utilmente servirebbero per alleviare le crisi umanitarie che hanno coinvolto oltre cento milioni di esseri umani, favorire la crescita economica e sociale, contrastare gli effetti del cambiamento climatico».

L’analisi geopolitica del Presidente italiano chiarisce in modo diverso la politica estera italiana che - a differenza di Austria, Spagna e Irlanda - negli ultimi anni si è allineata ai Paesi più bellicosi, sposando tra l’altro una linea filo atlantista a scapito di una prospettiva più europeista. La via della pace e del dialogo, proclama con chiarezza, è un mondo multipolare, dove nessuna grande potenza può prevalere. Anche il giudizio sulla Russia zarista di Putin è netto: l’autocrate del Cremlino ha riportato la guerra in Europa e insieme alla guerra «spinte vetero-nazionalistiche e pulsioni neo-imperialiste» che si possono battere solo rafforzando e riformando le Nazioni Unite. Il massimo organismo internazionale, nato nel Dopoguerra sulle ceneri della Società delle nazioni, cui aderiscono 193 Stati membri, in crisi ormai da decenni per l’incapacità dimostrata tante volte nel risolvere le crisi scoppiate in 49 focolai mondiali dalla caduta del Muro, è il secondo punto saliente del suo discorso. La riforma del Palazzo di vetro dovrebbe essere volta in primis a dare spazio a regioni sottorappresentate, come l’Africa, l’Asia e l’America Latina, per rimediare a una ingiustizia storica a tutti evidente, frutto di un passato ormai lontano.

«Le istituzioni dell’Onu sono state infatti modellate sui rapporti usciti dalla Seconda Guerra mondiale, come Yalta». Rapporti ovviamente basati sulle logiche di guerra. Ora è tempo di «plasmarle sulla pace». Altrimenti il mondo sarà prigioniero delle velleità di potere di un singolo Stato o di una singola superpotenza, come sta avvenendo oggi con le minacce nucleari di Stranamore Putin.

Ma Mattarella non ha dimenticato il Medio Oriente e quanto sta avvenendo a Gaza, con la risposta sproporzionata e devastante al massacro compiuto dall’organizzazione terroristica di Hamas del 7 ottobre. Ucraina e Israele mostrano lo spettro della minaccia nucleare. E così siamo tornati nuovamente a cinque minuti a mezzanotte, secondo il famoso orologio degli scienziati nucleari della Guerra Fredda. La ricerca di una soluzione pacifica non esclude il pieno sostegno all’Ucraina, un Paese invaso. La pace passa per una soluzione che non deve premiare l’aggressore o mortificare l’aggredito.

Ma c’è tanto altro nel discorso del Capo dello Stato che ha trovato piena sintonia con le analisi del segretario generale Antonio Guterres, non a caso duramente avversato dallo Stato ebraico. Sul conflitto israelo -palestinese Sergio Mattarella non poteva essere più chiaro con un messaggio a Tel Aviv e uno al governo italiano: vanno evitate le «operazioni militari a Rafah per la drammaticità delle conseguenze che potrebbero avere sui civili palestinesi»; bisogna riprendere i finanziamenti all’Unrwa, l’agenzia che da oltre 70 anni cura l’assistenza di base ai profughi palestinesi. Ma intanto Israele sembra muoversi in direzione contraria, sordo a qualunque ammonimento internazionale, con i carrarmati della 401esima brigata che muovono verso Rafah affollata di civili.

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