Immagino che sia un elemento che contribuisce a definire la nostra identità. Così è per il Natale: non esattamente la data di nascita di Gesù, ma certamente un modo per contribuire a delineare la sua identità.
Purtroppo per molti Gesù è uno sconosciuto, e non si tratta soltanto di persone di altri continenti e di altre religioni. Non pochi festeggiano il Natale senza pensare al suo Natale. Eppure ancora molti attingono la gioia di questa festa e la speranza che ne scaturisce, proprio dal ricordo della sua nascita.Un tempo senza memoria espone allo smarrimento. Poche settimane fa, il Papa ha ricordato l’importanza dello studio della storia. E pensando alle tragedie delle guerre in atto ha evocato la «smemoratezza» di quelle che il nostro continente ha sperimentato.
Alcune malattie degenerative comportano la dolorosa perdita della memoria, non solo dei fatti, ma delle persone, fino alla perdita della memoria di sé. Affascinante rimane la narrazione della peste di Macondo in «Cento anni di solitudine» di Gabriel Garcia Marquez, che comporta la perdita della memoria e dunque della propria identità umana. Non per nulla nel cuore dell’Eucaristia, risuona la consegna di Gesù: «Fate questo in memoria di me». Si tratta certamente di attingere a ciò che definisce un cristiano, ma anche a ciò che ci definisce umani, proprio alla luce di Lui.
La proposta cristiana non è riducibile ad un’idea, neppure ad una narrazione, tanto meno ad una fantasia: è una proposta che si concentra attorno ad un evento e ad una persona, quella di Gesù che consegna all’uomo una speranza inimmaginabile: quella di un Dio che abita il tempo, la storia, la vita di ogni uomo e la riscatta dal potere del male e della morte a cui appare inevitabilmente destinato.
«Niente di nuovo sotto il sole» dice il disincantato. Celebrare il Natale di Gesù, significa riconoscere l’aurora di una nuova umanità che si manifesta nella sua persona e a cui noi pure possiamo attingere e sperare, alimentando una personale relazione con Lui. Proprio la speranza diventa il dono di questo Natale, segnato dall’apertura del Giubileo. «Pellegrini di speranza» possiamo e vogliamo essere, accogliendo il dono della misericordia di Dio.
Tempi oscuri ci appaiono i nostri e le tante luci di Natale sembrano volerli esorcizzare. Ma una Luce brilla nelle tenebre: le tenebre non l’accolgono ma essa continua a brillare, segno di una speranza resistente e affidabile per tutta l’umanità. Si tratta della Luce di Gesù che, come ogni creatura, viene alla luce del mondo e del tempo. Un Dio che non abita il tempio, ma abita il tempo. Un Dio che prende sul serio la nostra umanità al punto di farla sua. Un Dio che non vogliamo dimenticare, per non dimenticarci della umanità della nostra condizione umana. Amiamo il nostro tempo, amiamo donne e uomini del nostro tempo: è il tempo del Messia, è il tempo di Dio.
* Vescovo di Bergamo
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